Tognazzi padre e figlio, mostri di ieri e oggi

"Le meschinità del mio personaggio ricordano quella commedia come I mostri che faceva critica sociale forte" dice Gianmarco Tognazzi, protagonista de Il Ministro di Giorgio Amato, in sala il 5 maggio


“Per il mio film ho avuto come modello di riferimento la commedia I mostri di Dino Risi, in particolare il primo episodio intitolato L’educazione sentimentale nel quale Ugo Tognazzi introduce il figlioletto, Ricky Tognazzi, alla diseducazione civica, insegnandogli a fregare il prossimo. Quel ragazzino così diseducato è diventato l’adulto di oggi, il nuovo mostro interpretato da Gianmarco Tognazzi”. Il regista Giorgio Amato, al suo terzo lungometraggio, parla così de Il Ministro, piccolo film indipendente, girato in tre sole settimane, che uscirà con Europictures in 20 copie il 5 maggio.
Il Ministro è una commedia grottesca, scritta da Amato, che mette in scena la corruzione, il servilismo, i potenti e i suoi sottoposti della nostra Italietta. Franco Lucci (Gianmarco Tognazzi) è un imprenditore sull’orlo del fallimento. Solo un grosso appalto pubblico può salvarlo e grazie all’interessamento di un Ministro amico (Fortunato Cerlino, visto in Gomorra film e serie tv) con un debole per cocaina e giovani donne. Insieme a Michele (Edoardo Pesce), suo socio e cognato nonché maneggione, Franco ha organizzato una cena e una serata perfette: oltre a una cospicua tangente, i due fanno trovare al Ministro una ragazza disposta a soddisfarlo in cambio di soldi e una raccomandazione. Il tutto sotto gli occhi di Rita (Alessia Barela), moglie insoddisfatta e  sempre in conflitto con il marito che asseconda in quest’ultima impresa. E sotto gli occhi di Esmeralda (Ira Fronten) una domestica venezuelana in procinto di essere licenziata. Ma per colpa di Zen (Jun Ichikawa), la studentessa cinese chiamata come escort del Ministro, la serata prende una piega imprevista.

“Il cuore del film non è tanto la corruzione che è solo una cornice nella quale si svolge la storia. Il vero tema è quanto l’essere umano è asservito al potere – spiega il regista – In fondo i tempi non sono cambiati più di tanto rispetto al Medioevo”. L’idea di scrivere Il Ministro è venuta infatti ad Amato ascoltando una canzone di Fabrizio De Andrè che parla di un marchese costretto, pur di conservare il titolo nobiliare, a concedere la moglie al Re che se ne è invaghito. “Determinate dinamiche fanno parte del nostro retaggio culturale e le ho rappresentate nella quotidianità di una famiglia borghese che è disposta a tutto pur di non perdere certi privilegi. Noi ci indigniamo davanti a fatti come quelle raccontati nel film, ma come ci comporteremmo se avessimo un amico potente?”.

“I difetti, le meschinità del mio personaggio e di tutti gli altri mi hanno ricordato quella commedia italiana che faceva critica sociale molto forte. Ne Il Ministro alla fine non si salva nessuno, se non due personaggi… il cane e il coniglio – conclude Gianmarco Tognazzi – Del resto si capisce fin dalla prima inquadratura che quella che si prepara è un serata di m….”.

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