Tiro al piccione: così la critica stroncò il primo Montaldo

Giuliano Montaldo è al Lido per presentare a Venezia Classici la versione restaurata da CSC -Cineteca Nazionale presso i laboratori di Istituto Luce Cinecittà del suo esordio alla regia


VENEZIA – “Per combattere la rabbia, l’intolleranza e l’ignoranza che si sentono nella società di oggi, c’è una parola, che a volte ormai sembra quasi una parolaccia, cultura: sapere, studiare e anche vivere insieme l’esperienza del cinema, bisognerebbe ripartire da lì”. Giuliano Montaldo torna al Lido per presentare a Venezia Classici la versione restaurata da CSC – Cineteca Nazionale presso i laboratori di Istituto Luce Cinecittà del suo esordio alla regia, Tiro al piccione del 1961, il primo film su Salò dalla fine della guerra. “Al pubblico piacque, ma la critica, sia da destra che da sinistra, mi fece a pezzi. Fu un grande dolore, pensai anche di cambiare mestiere. Non rivedo il film da allora, spero oggi di farcela a guardarlo fino in fondo”, spiega il quasi novantenne regista, sempre contraddistinto da grande eleganza. Ambientata nel 1943, la storia ha per protagonista Marco (Jacques Charrier), che dopo la fuga del re decide di arruolarsi da volontario nella Repubblica di Salò, perché crede in quegli ideali; di fronte, però, alle violenze a cui assiste, le sue convinzioni iniziano presto a vacillare.

“Charriere – racconta Montaldo divertito – stava divorziando dalla moglie Brigitte Bardot, che aveva sposato nel 1959, ed era molto provato, la sua presenza era frutto della coproduzione francese”. “Come attore e aiuto regista – prosegue Montaldo, David di Donatello per Tutto quello che vuoi di Francesco Bruni – avevo partecipato a film sulla Resistenza, così Tonino Cervi mi propose di adattare per il cinema Tiro al piccione, romanzo biografico di Giose Rimanelli. Ho detto sì perché mi sembrava si potesse parlare di chi allora aveva sbagliato strada ed era stato da noi riaccolto nella società. I critici non la pensarono come me. Io ne uscii devastato, mi sembrava di aver sbagliato tutto, toccando un tasto molto delicato. Se ho continuato a fare cinema, lo devo a mia moglie, mia compagna di vita e collaboratrice, Vera Pescarolo, che mi fece restare a Roma, dandomi forza e coraggio. Ricominciai a lavorare, girando un film tv per gli americani, L’isola dell’angelo, poi altri film, come Una bella grinta, che ha vinto due premi al Festival di Berlino, andò bene. Ma tutte le volte che si è trattato di parlare di temi difficili, fino a Gli occhiali d’oro, è sempre stata dura con i produttori. Uno, quando gli proposi Sacco e Vanzetti, mi ha risposto, ‘Ma che è, ‘na ditta d’import/export?'”.

Il restauro di Tiro al piccione “è stata una sorpresa bellissima, non posso che dire grazie”, sottolinea. E’ un film che risulta ancora oggi particolarmente attuale, visti certi sguardi nostalgici, anche da parte di alcuni giovani, verso il fascismo: “Mi ricordo che con Lizzani, nel 1951, dopo una proiezione a Napoli di Achtung! Banditi!, si alzò un signore e ci chiese se fossero realmente accaduti fatti come quelli. Questo è un Paese che ha dimenticato in fretta tante cose della propria storia; è possibile che anche oggi qualcuno possa sbagliare strada… Speriamo che, come il ragazzo di Tiro al piccione, se ne accorga. E comunque, chi sbaglia non va emarginato, va riaccolto”.

Il restauro del film è stato realizzato in 4K a cura di CSC – Cineteca Nazionale presso i laboratori di Istituto Luce Cinecittà a partire dal negativo originale 35mm messo a disposizione da Surf Film e da un positivo sonoro ottico e un lavanda conservati negli archivi della Cineteca Nazionale. La supervisione al restauro del suono è stata realizzata a cura di Federico Savina. 

05 Settembre 2019

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