BERLINO – “Ho bisogno di una pausa e me la prendo. Me ne starò in pace per pensare ai prossimi 40 anni e immaginare come saranno”. Così Tilda Swinton, Orso d’oro alla carriera della 75ma Berlinale, nella conferenza stampa ufficiale, spiazzando i giornalisti che affollavano la sala dell’Hotel Hyatt per applaudirla.
Ospite abituale del festival tedesco, fin dal 1986, quando fu qui con Caravaggio di Derek Jarman, Tilda ha regalato ai presenti una riflessione acuta sul post pandemia. “Prima del Covid – ha detto l’attrice scozzese – il cinema indipendente ti garantiva un certo tempo per sviluppare i progetti e prepararli artisticamente. Adesso è tutto mordi e fuggi, un’urgenza che si collega all’incertezza sui finanziamenti. E’ davvero stressante per tutti, è una pazzia”.
E dunque il suo sogno, all’apice di una carriera luminosa che comprende anche un Oscar, è quello di fermarsi a riflettere. “Lunedì torno a casa in Scozia ed entro in una nuova fase della mia carriera e della mia vita. Non so cosa sarà, ma so che non girerò film per quest’anno”. E ancora: “Il cinema è un amante spietato, sono stata al guinzaglio per un bel po’, non voglio ritirarmi ma voglio tempo per progettare altre cose, sia nel cinema che in altri campi”.
Per quanto riguarda il suo metodo di lavoro, è stata molto chiara: “Ho iniziato a lavorare in collettivo con Derek Jarman e non ho mai smesso di farlo, per me il team è fondamentale, insieme abbiamo cercato i soldi per i progetti, insieme li abbiamo realizzati. È quello che mi si addice di più, ma lo consiglio anche a tutti i giovani artisti. In comunità si può essere rilassati e creativi, divertirsi, essere autentici e approcciare le difficoltà in sicurezza. Significa essere come una famiglia, parola abusata certo, ma io credo che si possa creare una famiglia elettiva”.
Tra le domande, una arriva dalla Russia, dove la comunità LGBT+ è molto legata alla Swinton per le sue battaglie per l’inclusione. “Il mio motto è ‘trova la tua tribù, fidati e rimani con loro’. Bisogna credere nell’umanità delle persone altrimenti tutto è perduto. Ma bisogna credere che è possibile cambiare le menti e i cuori anche di quelli che stanno dall’altra parte della barricata, altrimenti siamo costretti a vivere in trincea. Non possiamo non raggiungere le persone che consideriamo irraggiungibili”.
A chi le chiede da chi vorrebbe fosse diretto un film sulla sua vita, risponde: “Da tutti i miei registi, una scena ciascuno, Jim Jarmusch, Pedro Almodovar…”.
Sulla guerra a Gaza e la campagna BDS Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele, chiarisce: “Tutte le guerre ci riguardano, non solo questa. Quanto al BDS ne comprendo le ragioni e le rispetto profondamente, perché è un modo per cercare di avere un impatto in quella situazione. Ma io ho deciso di venire qui, perché penso che il festival sia una piattaforma utile, che sia più utile essere qui che il contrario. D’altronde ogni gesto potente è una buona opzione contro la guerra”.
Innamorata del cinema da quando aveva 8 anni e comprese che era un territorio senza confini vedendo un documentario scientifico in tv, parla con amore autentico di Derek Jarman, il cineasta britannico scomparso nel ’94 con cui ha girato sette film: “Da lui ho imparato tanto non solo perché ero molto giovane ma perché lui era un buon maestro. Mi ha insegnato soprattutto a portare alta la mia luce e lo faccio ancora. Il suo messaggio era l’autodeterminazione. Anche la costumista Sandy Powell che fece il suo primo film con lui e dopo è diventata una grande artista e ha vinto l’Oscar, ricorda di essere stata incoraggiata da Derek a essere una filmmaker, perché chiunque lavora in un film lo è. Il sistema industriale divide le persone in reparti, invece io amo le cose collettive, mi piace stare sul set anche quando non devo recitare, stare con i miei compagni e comunicare con loro”.
E ancora: “Io scelgo sempre le persone prima di tutto e ho bisogno di costruire un legame. Tutti i miei registi sono artisti che amano confrontarsi e parlare, ognuno di loro è diverso e unico ma hanno in comune questa cosa, la ricerca di una connessione. Io questa connessione la cerco non solo con i miei colleghi ma anche con il pubblico e con i giornalisti. Ho rispetto per chi scrive film e per chi scrive di film, abbiamo bisogno di scrittori sensibili, che sappiano educare e che capiscano”.
Circa 19.000 professionisti accreditati (compresa la stampa) hanno partecipato al festival. Sono stati venduti 336.000 biglietti al pubblico, un numero leggermente superiore a quello del 2024
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