Tilda Swinton, madre e figlia in chiave gotica per Joanna Hogg

Tilda Swinton si sdoppia con la sua consueta maestria nel film del concorso diretto da Joanna Hogg The Eternal Daughter, un gioco di proiezioni e rifrazioni ma anche un percorso catartico


VENEZIA Tilda Swinton si sdoppia con la sua consueta maestria nel film del concorso diretto da Joanna Hogg The Eternal Daughter, un gioco di proiezioni e rifrazioni ma anche un percorso catartico sul legame madre e figlia.

“Il fatto che i due personaggi siano rappresentati dalla stessa persona rende il film qualcosa di diverso, parla di qualcosa di più profondo. Del legame tra mamma e figlia ma anche di quanto della nostra mamma o della nostra figlia è una nostra proiezione. Questo ha preso vita nel film”, spiega l’attrice. Capelli giallo canarino (“sono onorata di indossare la metà della bandiera ucraina”), è molto loquace nel parlare di un’opera in cui ha trovato quella comunanza artistica e umana – fellowship – che è la sua stella polare nello scegliere i progetti. “Io dovevo essere la figlia Julie e discutevamo su chi avrebbe potuto rappresentare la madre Rosalind”, racconta. 

Le due donne, molto legate, tornano insieme nell’antica dimora di famiglia, trasformata in un hotel di lusso, un luogo lugubre e inquietante, pieno di porte chiuse e scricchiolii, battuto dal vento. La figlia sta scrivendo il suo nuovo film ma fatica a concentrarsi, registra le memorie della madre come materiale per la narrazione, ma affronta anche una sorta di seduta psicoanalitica. Mentre i fantasmi affollano la scena di questa storia molto gotica in una narrazione ripetitiva e sofisticata, algida. “Ho sempre avuto un interesse per il soprannaturale”, dice la regista, che torna a dirigere Tilda Swinton dopo The Souvenir del 2019: un film dove la figlia della Swinton, Honor Swinton Byrne, era la protagonista Julie e Tilda interpretava la madre Rosalind. “Prima di fare Souvenir in realtà volevo rappresentare una storia sui fantasmi. Poi ho ripreso questa storia di mamma e figlia che volevo raccontare dal 2008 e adesso non so più bene separare le due trame”, racconta la regista, che confida di aver perso la propria madre mentre era al montaggio (ma anche Tilda era da poco rimasta orfana). Nei dialoghi tra le due (che non appaiono mai inquadrate insieme) “la semplicità di quello che appare non rende giustizia alla complessità del lavoro che c’è dietro”. “Io uso molto l’improvvisazione – sottolinea Joanna Hogg – e mi sono chiesta: come posso farlo in un film dove Tilda ha un doppio ruolo? Il mio primo pensiero è stato: non voglio trucchetti. Voglio la cinepresa davanti a Julie e a Rosalind”. Così è stata la stessa regista a fare da sparring partner alla protagonista: “Quando lei era Julie io ero Rosalind e quando era Rosalind io facevo Julie, chiaramente filmando solo Tilda. Questo è potuto accadere solo perché siamo amiche da tantissimo tempo”. Anche perché il film non aveva una sceneggiatura: “Per essere chiari, i dialoghi sono improvvisati – sottolinea Tilda Swinton – è una performance, anche se non so se possiamo chiamarla così. Un modo molto particolare e fantastico di lavorare. Si può andare in qualsiasi direzione. Non c’era una sceneggiatura su cui basarci, c’era una vaga impalcatura ma ogni scena era una costante invenzione. In qualche modo questo faceva sì che tutte le trame fossero indagate ma non troppo presto”.

“Il coraggio è anche quello di Tilda – aggiunge la regista – perché ci siamo addentrate in una cosa profonda e oscura. Questa è una storia su cui ho rimuginato a lungo. Io scrivo sempre molto prima di un film ma al momento delle riprese non mi interessa più quello che ho scritto, mi interessano le emozioni”.

Un processo che Tilda Swinton paragona al cubo di Rubik, “perché nel film come nel cubo, bisogna avere fiducia, tutto avrà senso dopo un po’, tutti i lati combaceranno ma solo alla fine. E non bisogna avere fretta di sistemare subito un solo lato, anzi bisogna lasciare le cose aperte”.

Nel film madre e figlia hanno la stessa voce: “I due personaggi sono talmente legati che ci sembrava giusto che avessero la stessa voce, anche se sono anche molto diverse. Il film gioca sulle proiezioni e sulla necessità di non avere più paura del legame e anche del lutto”, spiega la regista.

Il set è stato terapeutico? “Qualsiasi film per me è terapeutico, perché va lasciato andare alla fine e quella è una catarsi”, dice Tilda. E non riesce a identificarsi di più nella mamma o nella figlia. “Non ho una risposta, è possibile identificarsi in entrambe. E questo è il senso del film”.

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06 Settembre 2022

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