Le gabbie dorate del mondo del calcio, in cui vengono rinchiusi giovani uomini, ammirati dal mondo ma anche addomesticati e messi al servizio di un’industria che spinge al limite, capace di spremere e sfruttare fino all’ultima goccia i suoi eroi. Un sogno che, quando si avvera, dà tanto ma è anche capace di stritolare troppo.
Tigers di Ronnie Sandahl, in sala dal 22 luglio con Adler Entertainment dopo l’anteprima alla Festa di Roma in coproduzione con Alice nella città, racconta la vera storia del sedicenne prodigio del calcio Martin Bengtsson, svedese, acquistato dall’Inter nel 2004, che si ritirò dal calcio a causa della depressione che lo colpì mentre giocava nella Primavera neroazzurra dopo soli nove turbolenti mesi di allenamenti. Martin tornò in Svezia e decise di abbandonare lo sport, diventando scrittore e sceneggiatore e raccontando la sua vicenda di calcio e salute mentale, fino a quel momento poco nota, nel libro biografico In the Shadow of San Siro, scritto a soli 19 anni, su cui è basato il film.
Pressioni incredibili, aspettative troppo grandi, invidie pressanti, pesi troppo ingombranti per un adolescente che si ritrova all’improvviso solo e lontano da casa. Una storia di vita, più che di competizione sportiva, in cui un giovane talento non riesce a sbocciare, ridotto a pura merce in una realtà, il mercato del calcio, in cui tutti possono essere comprati e venduti. Dietro le luci accecanti di quei riflettori tanto sognati, di fronte a un futuro che si promette luminoso come un fulmine, il buio e le ombre che possono mandare a pezzi.
“Ci siamo incontrati circa dodici anni fa quando è uscito sia il mio romanzo d’esordio che il suo libro, durante i tour dei libri. e siamo presto diventati amici”, racconta il regista Ronnie Sandahl che, dopo quell’incontro, ha deciso di scrivere una trilogia di film basati su atleti, incentrata sugli aspetti psicologici, finanziari e politici dello sport. Il primo film è stato il dramma psicologico sul tennis Borg vs McEnroe del 2017, diretto da Janus Metz; terzo film, Perfect, diretto da Olivia Wilde, uscirà nel 2021 ed è ambientato nel mondo della ginnastica femminile americana; Tigers è stato l’unico che ha scelto anche di dirigere. “Il racconto mi ha colpito perché dava una prospettiva su un mondo segreto che nessuno aveva esplorato in questa maniera. Il libro fece scalpore perché Martin è stato il primo ad affrontare il tema della salute mentale nel mondo del calcio. Che in fondo è un po’ come un’immagine distorta della nostra stessa società capitalista, della sua cultura patriarcale del macho e di quello che si tende a pensare dei più deboli”.
Il risultato è un libero adattamento della storia di Bengtsson, in cui alcuni dettagli biografici sono stati modificati, pur mantenendo la verità emotiva del personaggio: “Ho iniziato a prepararmi per il ruolo per più di un anno, in modo da avere abbastanza tempo per entrare, anche da un punto di vista fisico, nel personaggio – sottolinea Erik Enge che interpreta l’ex calciatore sul grande schermo – Martin l’abbiamo voluto mostrare più come personaggio che per come è. Io non faccio la parte del vero Martin, quello che vedete sullo schermo è il personaggio costruito su di lui e sulla sua verità”.
Contatti con l’Inter? “Siamo stati in contatto durante la fase di preproduzione, per informarli sul lavoro che stavamo facendo – dice il regista – Sono stati rispettosi e cordiali, è nel comune interesse informarsi del processo in corso. Ma non hanno avuto un vero ruolo nella pellicola, venivano solo messi al corrente degli eventi. Ci hanno permesso di entrare nella casa in cui ha abitato Martin, vedere i campi di allenamento, fare foto, mettendoci così in condizione di ricreare nel film tutti i luoghi in maniera credibile”.
“Per me ha chiaramente un gran significato che il film venga visto qui in Italia”, sottolinea Bengtsson che rispetto alle pressioni attuali nell’ambiente calcistico commenta: “Dopo che è uscito il libro, ho parlato con tanti giovani giocatori e mi hanno confermato che il problema ancora c’è. Ogni squadra, poi, affronta la questione in maniera diversa. È facile dire ‘era debole’ o ‘non era una persona matura’, ma ci sono giocatori che cambiano squadra e le loro prestazioni migliorano, quindi la reazione dipende anche dal contesto. So che alcune squadre hanno iniziato a dare sostegno psicologico ai loro giocatori, ed è un buon inizio. Il calcio non riguarda solo il corpo, ma anche come vedi le cose sul campo e come reagisci”.
Maurizio Lombardi, che nel film interpreta il freddo manager dell’Inter, commenta: “Il mio personaggio è una metafora di quello che si richiede agli atleti, che oggi più di ieri sono un oggetto, macchine che devono essere allenate per produrre un risultato. Una spremitura di talenti, finché non si arriva agli estremi che vediamo raccontati sia nel film che nel libro. Sono macchine per fare soldi, e sono trattate con freddezza. Invece, lo sport è l’essenza della poesia, tutti ricordiamo un grande goal e una grande vittoria, e mi auguro che si riesca, prima o poi, a portar fuori la parte umana e poetica degli atleti”.
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