VENEZIA – Il conto alla rovescia verso la mezzanotte (europea, quantomeno) che cambierà il millennio, quella in cui tutte e quattro le cifre dell’anno muteranno forma – passando dal 1999 al 2000 -, tra paranoie per l’imminente fine del mondo e sfavillii dei fuochi d’artificio: una parata di facce, di maschere, di identità deturpate dalla chirurgia e dall’etica approdano e soggiornano al The Palace, lussuoso albergo tra le Alpi svizzere innevate, cosmo creato da Roman Polanski, prodotto da Èliseo Entertainment di Luca Barbareschi e da Rai Cinema.
“È un film di attori, straordinari, fatto da artisti. È un film corale in cui Roman ha voluto fare un affresco straordinario di cosa sia diventato questo mondo oggi. I coproduttori hanno permesso si riuscisse a fare un film con un buco in mezzo: la Francia, che non c’è; e con Rai Cinema è stata un’avventura epocale. Non è solo una commedia, ma un film con dettagli che Roman ha seminato: è un film molto balzachiano, una comédie humaine che spero venga presa come tale”, dice Barbareschi, che interpreta anche un personaggio, Bongo, vecchia star del porno. “Bongo è stato mutuato da Roman dal nome delle pompe funebri del doc Home Town– La strada dei ricordi. Il nuovo Dio di questo secolo è il selfie, uno stallo narrativo, e lui, Bongo, è un mondo egoriferito; invecchiando lo riconoscono solo anziani: una porno star vecchia ha fan vecchi, metafora interessante di un mondo in cui tutto è pornografia, della comunicazione, dell’erotismo, del sentimento”.
Nell’affresco cinematico sul grande schermo, per cui qualcuno ha evocato un dipinto di Bosch, la babele dei personaggi è colorata e colorita, a partire dalla marchesa interpretata da Fanny Ardant (leggi l’approfondimento con l’attrice), padrona di un chihuahua che ha difficoltà a fare la cacca sulla neve – questione annosa soggiornando d’inverno in montagna – e dunque miccia che innesca un effetto domino di farsa: “conoscevo già Roman, per essere stata diretta da lui sul palco teatrale. Ho ritrovato la gioia di lavorate con un uomo appassionato, concentrato sulla ricerca dell’assoluto e dei particolari. Con lui si pensa che essere su un set cinematografico sia un privilegio e che questo tempo non tornerà mai. Non avevo mai recitato una parte come quella di questa donna: mi sono divertita della stupidità, della follia, un condensato di vita e di energia”.
Con lei, ospite del The Palace anche il Dottor Lima, il chirurgo estetico interpretato da Joaquim De Almeida per cui “lavorare con Roman significa che tutto diventi vivo, ti tira fuori il meglio. È stato grande lavorare anche con Luca Barbareschi, dopo 47 anni dal nostro primo film insieme, avevamo vent’anni, con Nino Marino. Questa, invece, è la storia di un reale chirurgo brasiliano, Pitanguy: è una satira su questo mondo in cui viviamo, lì – quel capodanno – era la fine di una società decrepita”.
Ancora, il Mr.Crush di Mickey Rourke (non presente al Lido) e i “marionettisti” della dimora, magnifica quanto dall’eco misterioso, forse pauroso: il concierge Tonino, a cui dà corpo Fortunato Cerlino, che definisce The Palace “una produzione che ritorna al grande cinema della tradizione italiana, grazie a una capacità di visione. Mi piace associare questo film alla Commedia dell’Arte: le maschere sono tutte grottesche, è la sublimazione della tragedia”. E, infine, maestro di cerimonie, il direttore dell’hotel di Oliver Masucci che racconta: “volevo lavorare con Roman Polanski da tanto tempo, mi aveva offerto un altro ruolo, che non volevo fare. Gli ho chiesto poi la parte principale e lui mi ha risposto che avesse in mente un’altra persona, però occupata in quel momento: mi ha detto fossi troppo alto, e io gli ho risposto che, facendo l’attore, avrei potuto recitare, così s’è messo a ridere, e mi ha dato la parte. Con lui si lavora come a teatro. Lui guarda la scena da un angolo perfetto e inaspettato. Lui guarda dal viewfinder, uno strumento un po’ antiquato, che però permette di fare buoni film. Lui si concentra sui dettagli, e poi mette il fuoco su qualcosa di esterno alla scena, così rende tutto ancor più divertente”.
Infatti, “per Roman, che ha compiuto 90 anni, ho scoperto non esista età anagrafica. L’energia di Polanski sul set è sorprendente, da 25enne. È l’artigianato di un genio”, commenta Barbareschi.
L’assenza di Polanski alla Mostra si motiva, ma per Barbareschi la non partecipazione produttiva e nemmeno la vendita del film in Francia no e conferma che (per ora): “il film non è stato venduto da loro, ma speriamo sia distribuito perché sarebbe un danno per la Francia: c’è anche un’attrice francese come Fanny Ardant. Non capisco perché, se tutti i giorni tutte le piattaforme rendono disponibili film di Polanski, non partecipare alla produzione. Speriamo il film venga acquistato. Spero che il film vada anche in America. Poi, però, ci chiediamo perché ci siano le guerre: tutti i Paesi devono rispettare gli artisti”.
E, restando dalle parti della querelle, ribaltata in questo caso, Luca Barbareschi infine tiene ad aggiungere che: “con Alberto Barbera abbiamo avuto anche degli scontri in passato ma riconosco abbia dato a questa Mostra la libertà; non si può mandare un avviso di garanzia al passato e non ci deve essere giudizio morale sull’arte. È stato coraggioso a prendere Allen, Polanski, Anderson, il mio film (The Penitent): la Mostra deve essere luogo di sperimentazione e provocazione, senza giudizio morale, altrimenti dovremmo abbattere la Cappella Sistina e altre opere di Caravaggio”.
Il film, spettacolare dal punto di vista visivo, annovera la scenografia di Tonino Zera, i costumi di Carlo Poggioli e le musiche di Alexandre Desplat.
di Nicole Bianchi
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