TORINO – Una donna 50enne della classe operaia della Laguna di Venezia viene introdotta alla decadente vita nobiliare veneta dopo essere stata riconosciuta come la reincarnazione della regina Maria Antonietta. Il mondo del fantastico e dell’inusuale che stravolge una vita dedita alla routine lavorativa restituendo un po’ di colore al grigiore quotidiano. È questa l’idea su cui si fonda The Last Queen, l’unico progetto italiano in sviluppo al ComedyLab di Torino e che, dopo l’esperienza laboratoriale insieme ad altri autori e comici, verrà presentato al TorinoFilmLab Market di novembre
Abbiamo parlato con gli autori e registi del film, il palermitano Stefano La Rosa e il trevigiano Luca Renucci, che da anni vivono insieme a Parigi, dove hanno trovato un luogo ideale in cui esprimere la loro passione per il cinema. Coppia nel lavoro e nella vita, hanno già collaborato a diversi cortometraggi. The Last Queen, prodotto da Nefertiti Film, sarà il loro primo lungometraggio.
Stefano e Luca, da dove nasce l’idea di The Last Queen?
Tutto nasce da un fatto reale, una signora che credeva di essere la reincarnazione di Cleopatra. E da lì c’è venuta l’idea di esplorare. Ci piaceva l’idea del reinventarsi. Pensare di essere qualcun altro. È tutto legato alla voglia di raccontare questo rapporto con il lavoro tipico dei veneti, l’efficienza. Ci chiedevamo cosa potesse fare una donna che, in questo caso, ha costruito tutta la sua vita intorno a delle certezze a un’immagine di sé molto precisa.
Come state lavorando riguardo all’ambientazione nobiliare?
Ci sono state due fasi di ricerca. In una abbiamo solo immaginato e ascoltato storie, come la nonna di una nostra amica che era contessa. E poi, tra qualche settimana, andremo a questo ballo nobiliare. Si tratta di un ballo nato per fare incontrare nobili e borghesi nell’800, ma è stato ripreso da una coppia di aristocratici da circa 30 anni qui a Casale Monferrato. Stiamo cercando di esplorare il più possibile questo mondo, per rendere il tutto più realistico.
Come vi siete trovati a lavorare con dei comedian?
Grazie al lavoro dei comedian, certi personaggi che erano ancora un po’ astratti ora stanno prendendo corpo. Quando testi quello che hai scritto sul corpo di un attore, senti se c’è qualcosa di poco chiaro nelle intenzioni, se manca un obiettivo, un desiderio forte. Sono tutte cose su cui puoi confrontarti concretamente e non restano nella tua testa. È davvero molto interessante. Noi siamo arrivati con una struttura che ci convinceva, su cui abbiamo lavorato già da un po’. Qui stiamo cercando di migliorare le parti di commedia del progetto che sono lì, ma che non hanno espresso tutto il potenziale. Ci interessa più l’aspetto performativo che quello prettamente comico. La commedia si basa molto sul ritmo e su tante cose che devono funzionare a prescindere. Cercare il tono che a noi interessa è la parte più stimolante.
Quali sono le difficoltà e quali le opportunità di lavorare con autori di altre nazionalità?
Sta andando bene, ci sembra che il progetto venga colto, poco importano le differenze culturali tra i vari partecipanti. Ci siamo resi conto che gli italiani riescono subito a cogliere la commedia, perché conoscono il contesto, mentre gli stranieri devono un attimo individuare il tono. Nel nostro film, la commedia sta molto anche in questo aspetto spiccio, diretto, tipico dei veneti. Per noi sono cose subito chiare, per gli altri vanno precisate. Sono cose su cui lavori e che ti permettono di essere più specifici e di come potenziare gli aspetti comunicativi.
Quali sono i vostri riferimenti cinematografici per questo film?
È la domanda che temevamo, perché il Veneto è poco rappresentato e abbiamo avuto delle difficoltà a trovare delle reference. Ovviamente abbiamo un amore fortissimo per la commedia all’italiana tradizionale, per quella crudezza, quel modo di lavorare sui difetti dei personaggi. C’è poi il documentario Grey Gardens, che ci ha permesso di scoprire questa nobiltà completamente decadente che si aggrappa a un’illusione. Ci ha aiutato a immaginarci il contesto di questa contessa che accoglie Lorena, il personaggio principale.
Avete già in mente il volto della protagonista?
Per noi è molto importante trovare attori veneti, c’è un aspetto molto locale e regionale del film, che ricorda il primo Garrone. Il casting sarà una parte fondamentale.
Quali sono i prossimi step della lavorazione?
L’idea è quella di continuare a lavorare sulla struttura e sul trattamento fino al workshop di Porto. Poi da giugno a novembre lavoreremo sulla stesura della sceneggiatura a partire da tutto il lavoro fatto qua. Torneremo a Torino con un film solido.
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