Da Elvis al ribelle membro dei Vandals, Benny: prosegue nel segno di un’irresistibile “coolness” la carriera di Austin Butler, classe 1991 affermatosi negli ultimi anni e già accostato a divi impronunciabili del calibro di James Dean. “È tra i miei miti” rivela l’attore, “insieme a Marlon Brando”. Brando, che in video (una scena da Il selvaggio) appare anche in The Bikeriders, nuovo film di Jeff Nichols in sala il 19 giugno con Universal, ispirato al libro fotografico di Danny Lyon sulle vicende di un gruppo di motociclisti americani chiamato Chicago Vandals.
Butler interpreta Benny. Libero, ribelle e fedele agli ideali del gruppo. Nell’America degli anni ’60 vigono altre regole e valori, ma anche l’utopia da outlaws dei Vandals, guidati da Johnny (Tom Hardy), non durerà a lungo. Voce narrante di questi dieci anni di scorribande da gangster alla Scorsese – il ritmo del film ricalca il modello ampiamente collaudato di cult come Goodfellas – è Kathy, compagna del sanguigno Benny. A interpretarla è Jodie Comer, che con Austin Butler firma una coppia infatuata da un ideale di assoluta libertà e ribellione. Attorno a loro, i volti sporchi e scavati di una gang destinata ad allargarsi a tal punto da perdere il controllo, tra incontrollabili schemi criminali e droghe; evento che segna e conferma in The Bikeriders la parabola classica dei gangster movie.
“Avevo bisogno di un attore che catturasse l’attenzione fin dalla prima scena” spiega il regista Jeff Nichols parlando di Austin Butler. “Entra nel bar, si siede, dice un paio di battute e diventa subito Benny. Doveva essere non solo molto bello e talentoso, come lui è, ma con quella capacità rara di bucare lo schermo e brillare di luce propria. Mi imbarazza dirlo davanti a lui, ma è proprio così”.
Butler appartiene a quel gruppo di attori hollywoodiani cresciuti sui set dei programmi targati Disney Channel (Da Ned – Scuola di sopravvivenza a Hannah Montana), capaci di segnare un’intera generazione – anche in Europa – e in rari casi consegnare qualche giovane promessa al mondo del cinema. Come l’astro nascente Zendaya, che con Austin Butler ha condiviso le scene nell’ultimo capitolo di Dune.
“Benny è un lupo solitario che ha tagliato i ponti con la sua famiglia e sta sempre da solo – racconta Butler – , ma ogni persona, a un certo punto, cerca una comunità dove potersi ritrovare e stare bene. Il regista ci ha spinto tutti a seguire il nostro istinto, e così ho fatto anch’io. Nel libro di Lyon non c’è molto su Benny, quindi ho lavorato sulla sua essenza, cercando una chiave per rendere la sua voce, e poi sì, ci ho messo del mio”. Nel 2022, con l’interpretazione nel biopic di Buzz Luhrmann dedicato a Elvis, Butler ha mostrato, dopo oltre tre anni di preparazione, un talento impetuoso, segnato anche da un certo charme quasi vintage, con quel carico di “coolness” misteriosa un tempo ampiamente ricercata a Hollywood.
“Le figure maschili, una volta, erano tre: c’era Marlon Brando che diceva ‘vaffanculo’ e Montgomery Clift che implorava ‘per favore, aiutami’. Nel mezzo c’era James Dean. Non credo di aver voluto metterlo in scena consapevolmente: è arrivato. Brando l’ho sempre adorato per la sua capacità di essere allo stesso tempo animalesco, vulnerabile e spontaneo”. Anche Butler, a ben vedere l’attuale pantheon di nuove o affermate star di Hollywood, sembra “nel mezzo”. È tenebroso, sì, come Thimothée Chalamet, ma senza il volto traumatizzato, che ne fa un modello dello spettatore genZ meno chiaro del collega, apprezzato infatti dai più giovani. Ma Butler, che pure in The Bikeriders è un duro che non le manda a dire, di quelli che incassano e restituiscono – meno psicopatico del villain interpretato in Dune ma altrettanto brutale -, non ha niente da spartire neanche con gli “ex Wrestler” della Hollywood attuale, come Dwayne Johnson o John Cena. Sta nel mezzo, dove può interpretare un monumentale Elvis e poi unirsi alla banda dei Vandals al fianco di un grande attore, da nomination agli Oscar, come Tom Hardy, e nonostante tutto non scomparire, nemmeno quando Nichols gli consegna una sceneggiatura fatta perlopiù di sguardi verso il vuoto e parole masticate tra i denti.
Il successo, esploso con Elvis, l’attore lo imputa ai registi che l’hanno guidato. Da Jarmusch a Tarantino, fino a Villeneuve. “I registi sono sempre la cosa più importante. Jeff Nichols, per esempio, era uno dei miei sogni. Mi attraggono i ruoli che mi danno la possibilità di esplorare me stesso, di scoprire le mie capacità, quelli in cui sento di poter dare qualcosa, e anche quelli che richiedono un processo di preparazione. E poi, a volte, mi lascio guidare dalla paura. Se qualcosa mi spaventa, la faccio”. Butler ora sta preparando Heat 2 (sta riscuotendo successo online il video dove si allena a ricaricare una pistola nel minor tempo possibile), dove Michael Mann l’ha scelto per interpretare il ruolo che fu di Val Kilmer. Il regista sarebbe stato colpito dalla somiglianza tra i due attori.
“Sto vivendo un sogno. Faccio il lavoro che voglio, sono grato per questo e mi sento fortunato”. Nei panni di Benny, Butler è un simbolo malinconico di certi ideali di ribellione e libertà. Un’atmosfera che ammanta per intero il film di Nichols, illuminato dal sole accecante che accompagna questo gruppo di motociclisti – figure tra il mitologico e l’iconografia Western – mentre sfrecciano non curanti. Butler conosce bene il mondo dei motociclisti, a cui sin da piccolo l’ha introdotto il padre. “Quando avevo 16 anni – rivela -, mio padre decise che era arrivato il momento di imparare a guidare la motocicletta. Mi diede una moto e mi portò in un grande parcheggio. Sia lui che mio nonno andavano in moto da sempre. Ho raccontato questa cosa al regista e, sul set, ho ripreso a usare la moto. Mi ha aiutato anche un incontro che ho avuto sul set di Elvis, in Australia. C’era un signore che riparava vecchie Harley, così abbiamo iniziato a fare qualche giro e questo mi è servito per la lavorazione del film”.
Di moto, infatti, ne ha tre. Una Harley Shovelhead del 1966, un’altra Softail e una Triumph Bonneville. “L’altro giorno, dopo la promozione a Los Angeles, sono ripartito in moto. È mille volte più bello che chiudersi in una macchina. Ti dà un senso di libertà.”
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