Un film di tre ore e due minuti. Tolstoj, e non quello universalmente amato di Guerra e pace, ma l’ostico e impegnato autore di Resurrezione, un romanzo d’amore e redenzione pieno di digressioni ideologiche, discussioni sul comunismo e la spiritualità.
Paolo e Vittorio Taviani non ce l’avrebbero fatta, in questa impresa, senza la tv. La Rai, che ha contribuito con un 35% al budget di 11 miliardi messo insieme dalla produttrice Grazia Volpi anche con contributo di tedeschi e francesi e il sostegno di Media. Il risultato è un film dei Taviani al 100%, romanzo popolare e colto insieme, come Le affinità elettive o il pirandelliano Kaos. In onda su Raiuno presumibilmente a gennaio perché la Rai vorrebbe anticipare i tempi saltando la tappa pay tv. Il film finito ha entusiasmato tutti: Max Gusberti l’ha definito addirittura “una pietra miliare del palinsesto”. Successo anche all’anteprima ospitata da Saint Vincent, dove i due registi di San Miniato hanno ritirato una Grolla alla carriera. Con loro Stefania Rocca e Giulio Scarpati, star di un cast internazionale in cui ognuno ha recitato nella sua lingua in una babele piena di autenticità. Stefania è la prostituta condannata ai lavori forzati per un omicidio che non ha commesso; il “medico in famiglia” è lo ieratico Simonson, spedito in Siberia a causa della sua passione di utopista. E poi Timothy Peach (il principe Dimitri), Antonella Ponziani, Marina Vlady e Giulia Lazzarini.
Un kolossal che i Taviani ci raccontano in un’intervista necessariamente a due voci.
“Resurrezione” non avrebbe potuto essere un film per il cinema?
Vittorio: Data la lunghezza sarebbe stato improponibile nel mercato attuale. In genere, quando fai un film ti autocensuri sulla durata, ma il gusto di raccontare per esteso può dartelo la televisione: come nel caso della sei ore di Fanny & Alexander.
C’è un elemento di particolare attualità in questo romanzo?
Vittorio: Tolstoj lo scrisse alla fine del suo secolo, noi l’abbiamo trasformato in film alla fine del nostro, quando è diventato drammaticamente chiaro che il XX secolo non sarebbe stato un buon secolo… Ma soprattutto Resurrezione è una storia d’amore e in questo momento riaffermare l’amore ci sembrava molto importante.
Paolo: Ci hanno colpito anche i personaggi nella loro ambiguità. Katiuscia è una prostituta che risale la china e riacquista dignità. Innocente o corrotta? Il principe Dimitri è un seduttore da feuilleton con un animo fondamentalista ed etico. Simonson è l’utopista che non rinuncia in nessun caso a una visione progressista delle cose.
Avete lavorato sul romanzo con grande libertà.
Paolo: Come sempre: nella nostra carriera abbiamo attinto a Pirandello, Goethe, Tolstoj. Li consideriamo grandi soggettisti. Li introiettiamo, ci danno stimoli e provocazioni, ci spingono a tirare fuori le angosce del momento che stiamo vivendo. A quel punto diciamo: arrivederci e grazie.
Da Tolstoj avevate già tratto “Il sole anche di notte”, perché scegliere “Resurrezione”?
Vittorio: Questo non è tra i libri più belli dello scrittore russo. E’ ispirato a una vicenda reale, un giurato ritrova come imputata in un processo la ragazza sedotta e abbandonata anni prima e divenuta prostituta. A Tolstoj l’aveva raccontata un amico scrittore, lui gli chiese il permesso a usarla e ne fece un racconto di un centinaio di pagine che è tra le cose migliori che abbia mai scritto. Poi volle espanderlo a romanzo e ci mise dentro una serie di elementi politici, religiosi, spiritualisti, perfino la polemica contro la disumanità delle carceri: molte scene didascaliche che rendono faticosa la lettura e anche il finale. Però questa sconnessione è stata la nostra fortuna. Su un libro perfetto come Guerra e pace è più difficile mettere le mani.
Vi sentiti vicini agli storici sceneggiati Rai?
Vittorio: Quegli sceneggiati erano girati in teatro e molto fedeli al testo, Resurrezione è soprattutto vicino all’ultimo film che abbiamo fatto, Tu ridi, e a tutti gli altri. E’ un capitolo del romanzo che stiamo scrivendo da quando facciamo cinema.
Che pubblico pensate di raggiungere?
Vittorio: Speriamo che sia vasto. E speriamo che arrivi il discorso sui valori e sull’amore, che in questo mondo disgregato ci sembra urgente.
Paolo: Negli anni ’60 facevamo un cinema che – ci dicevano – il pubblico avrebbe rifiutato. Era vero, perché i nostri film non facevano una lira. Dopo i primi giorni di programmazione di Sotto il segno dello scorpione, che era molto sperimentale, gli esercenti ci dissero: per ora niente incassi, anzi ci dovete ripagare la prima fila delle poltrone. Ma non ci siamo arresi e pensiamo che la tv sia un mezzo per arrivare a milioni di persone e che le pratiche basse siano una strada per arrivare a quelle alte…
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