La sala buia, le sequenze di Kill Bill Vol. I prima, e poi un montaggio di moltissime altre tratte dalle sue opere, che corrono su un ritornello musicale che prende per mano all’unisono l’artista e l’uomo: “I’m looking for freedom”.
Le luci della Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica si alzano e fa il suo ingresso “un grande rivoluzionario“, così Quentin Tarantino è stato introdotto dal direttore artistico Antonio Monda: il regista è stato protagonista di un Incontro Ravvicinato, oltre che insignito dalla Festa del Cinema di Roma del Premio alla Carriera.
L’Incontro comincia dalla sua prima volta, il primo ricordo cinematografico: “credo fosse un film di agenti inglesi: non lo ricordo esattamente, credo d’aver avuto 5 anni. Ricordo una scena un po’ sadomaso di un rapimento, con due ragazze, ne rimasi affascinato anche se ovviamente mi sfuggì la parte politica e sessuale. Poi, negli Anni ‘90 ho cominciato la mia collezione di film e mi è capito tra le mani questo Deadlier Than the Male ed era proprio quello! Mi dissi: è proprio il primo fottuto film che ho visto!”.
L’Incontro continua come nella sua tradizione, con la visione di alcune sequenze, tratte da film diretti da Tarantino, spunti per approfondire alcune tematiche del cinema e del suo modo di fare il cinema. Così, subito sono Le iene (1992), la sua opera prima, che Tarantino guarda “accompagnando” la visione con alcune risate personali divertite, e poi commenta: “Ho sempre avuto un’opinione alta di me stesso, soprattutto per la scrittura dei dialoghi: a inizio carriera mi consideravo più uno sceneggiatore che scriveva per fare i film ma poi, seguendo la mia Musa, ho capito di essere sì uno sceneggiatore, e un regista in grado di catturare l’essenza dello sceneggiatore”.
Monda non può fare a meno di sollecitare l’ospite su un soggetto spassoso di alcuni suoi film, il Big Kahuna Burger (fittizia catena di fast food, ndr): “È uno dei tanti prodotti/simboli che ho deciso di creare nei film, come la chattanooga beer che beve Bred Pitt in C’era una volta a… Hollywood: mi piace creare prodotti pensati per i miei personaggi, così come loro guardano film che non esistono, così si crea un universo ‘altro’ generale”, spiega Tarantino.
Jackie Brown (1997) è la sequenza che dà lo spunto per parlare della sua scelta degli interpreti: “Quando ho scritto la sceneggiatura non ho scritto pensando a Robert De Niro e Bridget Fonda; quando scrivo, dipende come evolve dal rapporto tra me e il figlio di carta, è interessante come meccanismo: a volte scrivo con in mente qualcuno, a volte solo il personaggio, di solito funziona meglio se penso ad un attore; in Bastardi senza gloria, il personaggio di Waltz non sarebbe stato così ricco se avessi pensato ad un attore, perché è un genio sulle competenze linguistiche, quindi sarebbe stato necessario un attore con le stesse competenze, infatti mi son chiesto se fosse un ruolo che qualcuno potesse interpretare, ma se avessi pensato prima ad un attore, il personaggio sarebbe stato limitato. Un esempio contrario, successo dopo aver lavorato con lui: il suo personaggio in Django, scritto su di lui, conoscendo timbro e ritmo dell’eloquio, così anche per Samuel Jackson, avevo già in mente la sua voce. Ma c’è sempre bisogno di un equilibrio, perché così c’è il rischio di non farsi trasportare dal personaggio”.
Il direttore artistico stuzzica poi Tarantino su una questione buffa del suo curriculum vitae, in cui pare sia dichiarato che lui abbia recitato con Godard e Romero: “Sì”, conferma Tarantino. “Se tu vuoi fare l’attore e non hai fatto nulla qualcosa devi scrivere e così ho puntato Zombie di Romero, perché nella gang di motociclisti c’era uno che avrei potuto essere io, quindi ho fatto così. Godard, invece, ha fatto un terrificante Re Lear così ho pensato di inserire quello: nessuno credo l’abbia visto e in caso non resisterebbe cinque minuti. Io avevo tentato di diventare attore già prima de Le Iene: avevo sempre la stessa manager e così s’è cominciata a diffondere questa voce, tanto che in un libro che parla del ‘giovane Tarantino’ c’è scritto che, se si guarda bene, compare nel film. Sempre per il mio curriculum, è capitato però Romero mi contattasse per chiedermi se fossi pronto per un personaggio e subito ho accettato: così, un po’ mi sono riscattato”.
La sequenza da Kill Bill Vol. I (2003), offre il primo spunto per far parlare Tarantino del cinema italiano, partendo da un primo piano di Uma Thurman: “(quello ancora più stretto, il Primissimo Piano) Io lo chiamo ‘un Sergio’: deve essere ravvicinatissimo e tutta la mia crew sa di cosa si tratti”, di Sergio Leone, delle sue visioni strettissime sugli occhi dell’attore. Leone è l’occasione perché Tarantino possa rinnovare il suo amore per “Il buono, il brutto e il cattivo: trovo sia assurdo quando ti chiedono i 10 film preferiti; forse i primi tre? Eccezion fatta per questo film, che rimane sempre al primo posto. È il mio preferito! Perché devo spiegare perché è il mio preferito? È divertente, ma perché dovrei disquisire il perché? lo è, e basta!”, sentenzia il regista, che “s’è formato” anche guardando Leone, ma “C’è voluto un po’ di tempo per capire cosa volessi fare: se ci penso, ci ho messo anni a convincere gli altri. Nel profondo, sapevo fosse quella la mia strada. Da ragazzino guardavo gli attori e volevo far parte del cinema ma mia mamma e il mio patrigno hanno sempre detto, prima che io lo capissi, che avrei fatto il regista perché m’interessava proprio il cinema. Chi studiava con me da attore, amava più se stesso che il cinema, mentre io il cinema, e così il mio film doveva essere il mio film”.
Si continua con una clip che accosta Bastardi senza gloria (2009) e C’era una volta a… Hollywood (2019), occasione per domandare a Tarantino perché capovolga la storia, racconti qualcosa che non è esistito davvero, e questo se abbia una connessione con un discorso etico: “Di film in giro ce ne sono tanti per il mondo, mica devono per forza vedere i miei!” risponde netto in prima battuta, per poi soffermarsi sul secondo titolo. “Sì, non volevamo il pubblico si rendesse conto subito che fosse una fiaba, alla fine – anche dal titolo – l’idea era sorprendere e far riflettere. La cosa fighissima è come, da regista, puoi sorprendere con elementi che la gente ha davanti agli occhi senza che se ne renda conto: è una fiaba, ma ci riflettono solo alla fine”.
La sequenza di Django Unchanged (2012) fa rima con Leonardo Di Caprio, di cui Tarantino rammenta un episodio in cui l’attore, durante una scena, s’è ferito con un bicchiere di vetro: “La reazione di Leo è stata straordinaria: cominciando a sgorgare il sangue, noi della troupe abbiamo trattenuto il fiato, ma essendo lui un magnifico attore per due minuti ha gestito la cosa, quasi giocherellando col sangue, e in quei minuti ha raggiunto livelli straordinari. Si può arricchire un film man mano con le qualità dell’attore, magari proprio per un contributo interessante, che ti porta ad aggiustare un po’ il tiro”.
The Hateful Eight (2015) è l’occasione per celebrare il Maestro Morricone: “Un sogno. Un sogno realizzato”, definisce Tarantino l’aver potuto lavorare con lui. “E’ il mio compositore preferito, in assoluto, oltre le colonne sonore. Ho sempre usato le sue musiche e lui mi fece sapere, quando fosse capitata l’occasione, di chiedergli una colonna sonora originale: per questo film, se lui avesse detto di no, avrei fatto come al solito, usando appunto sue musiche. Quindi, gli mandai la sceneggiatura tradotta, poi venni a Roma per il David di Donatello e arrivai apposta il giorno prima, per incontrarlo: mi chiese quando avrei iniziato a girare e gli spiegai che era già girato e in post produzione, lui fu sorpreso, mi disse che era impegnato, così ero deluso ma dissi: ‘pazienza’, ma poi… disse di aver in testa un tema, che il tempo per un’intera colonna non l’aveva ma il tema in versioni diverse sì, che sarebbe potuto arrivare ad una decina di minuti… La sera del David mi disse che arrangiando un po’ qua e là si poteva arrivare anche a 40 minuti e, usando i brani mai usati per il film di Carpenter, la colonna era fatta. Posso solo dire sia stato un gigante, un gigante, un gigante!”.
Non solo per la musica di Morricone, Tarantino ama il cinema italiano, si sa: “Sono stato fortunato perché cresciuto negli Anni ‘70, in cui nei cinema si vedevano questi film di genere e negli Anni ‘80 se ne trovavano facilmente le vhs. Quando i registi italiani sfruttavano ‘il genere’ lo facevano meglio degli americani, per la spinta verso gli estremi, dalla musica al sesso, una qualità teatrale”. Un amore, quello per il cinema italiano e per il nostro Paese, che lo porta ad affermare: “Con la storia giusta, mi piacerebbe da morire girare in Italia. E poi, sarebbe pazzesco girare a Cinecittà! Ho un’idea in mente, non dico necessariamente sia il prossimo film, ma in questa ‘cosa’… si potrebbe immaginare uno Spaghetti Western, che mi piacerebbe fare nel tipico modo in cui ognuno parla la propria lingua”.
La sequenza iconica del ballo tra Uma Thurman e John Travolta in Pulp Fiction (1994) porta a conclusione l’Incontro: “Sull’idea del twist, parlando con John, eravamo d’accordo: lui sapeva bene che fosse divertente ma noioso da guardare e quindi suggerì di aggiungere delle cose, così, mentre giravamo la scena, davo indicazione di cambiare movimento”.
Il cinema continua, dalla finzione alla realtà, con un video amatoriale in cui Samuel Jackson, John Travolta e Christoph Waltz (in italiano) celebrano l’amico Quentin e il Premio alla Carriera di cui la Festa lo insignisce e così, accompagnato dalle parole: “Sei l’orgoglio del cinema americano, ma in parte anche italiano. Sono così onorato di dare un premio ad uno dei più grandi talenti del cinema mondiale. Evviva Quentin Tarantino!”, Dario Argento, uno dei miti cinematografici di Tarantino, consegna il riconoscimento, ricevuto in piedi sul palco da Tarantino, di fronte alla standing ovation del pubblico.
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