Se il 1963 per Rita Pavone è stato l’anno del grande debutto popolare nella musica, con hit rimaste nelle vette musicali per settimane, come La partita di pallone o Il ballo del mattone, è sull’onda di questo successo musicale che Lina Wertmüller pensa a lei per una parte d’attrice, anzi d’attore potremmo dire; infatti – allora 19enne – interpreta il ruolo maschile di Giannino Stoppani, protagonista della mini serie tv Il giornalino di Gian Burrasca.
8 episodi in bianco e nero da 58 a 85 minuti, per un totale di 556 – Giannino comincia a far guai, La girandola sul frack, Il piumino nell’occhio, I razzi nel caminetto, Giannino in casa Collato, Giannino in casa Maralli, Giannino in collegio e Addio giornalino: la sceneggiatura è della stessa regista con l’autore letterario originale, Luigi Bertelli in arte Vamba, con cui hanno scritto l’adattamento dalla pubblicazione datata 1907; le vicende di Giannino nascono pubblicate a puntate (55, settimanali) sul “Giornalino della Domenica”, fondato dallo stesso Bertelli, poi raccolte in un unico volume (1920).
Pur nascendo come letteratura e poi televisione “per ragazzi”, la Rai prova – con successo – a puntare subito su un pubblico più ampio, decidendo di programmare in prima serata, il sabato sera, alle 21 circa, occupando un’ora di programmazione di quella che era – e nel tempo è restata – una fascia di punta della programmazione tv: era il 19 dicembre 1964 quando Gian Burrasca, al secolo Giannino Stoppani, debuttava sul piccolo schermo e le puntate sono state trasmesse fino al febbraio del ’65, poi riproposte nel ’73, nel 1982 e – più di recente – nel 2012 da Rai 5; attualmente sono disponibili su Rai Play.
Come si sa, ma è godibile retorica della cultura popolare, tutto nasce da un diario: Vamba, infatti, scrisse il libro in forma di diario e, altrettanto noto, è il battesimo del soprannome “Gian Burrasca”, che la stessa famiglia di Giannino gli attribuisce per via del suo spirito esuberante, un vocabolo che – da lì in poi – ha assunto il sinonimo pop di “bambino irrequieto”. Nella storia, Giannino è l’unico maschietto della borghese e rispettabilissima famiglia fiorentina degli Stoppani, in cui s’è facilmente distinto per essere la “pecora nera”: insomma, è sempre stato un combinaguai e così non s’è dimostrato da meno quando per il suo nono compleanno – siamo nei primi del Novecento – riceve in dono dalla mamma un diario, che rimanda al “giornalino” del titolo, quaderno pronto a assorbire tratti d’inchiostro e lapis che scrivono lì le sue avventure, spesso comiche, ma non raramente un pochino “tragiche”, capaci di scombussolare non solo lui stesso ma addirittura l’assetto della famiglia e i rapporti della stessa col mondo esterno, tanto che il discolo Gian Burrasca scappa anche di casa, per rifugiarsi della zia Bettina (Elsa Merlini), la zitella sorella del babbo.
L’effervescenza e la verve di Giannino sono i tratti che disegnano e distinguono il personaggio e dunque anche l’interprete sullo schermo era fondamentale fosse capace di impregnarsi di tal vivacissima vitalità, discriminante fondamentale per la riuscita del ruolo: Rita Pavone, al suo (quasi)debutto nella recitazione (perché, a onor di cronaca, aveva partecipato l’anno prima al film Clémentine Chérie di Pierre Chevalier) e lanciata decisamente altrove che sulla via “del cinema”, s’appropria e restituisce alla perfezione la personalità del bambino, riuscendo nell’impresa di sovrapporre nella memoria popolare il suo volto con quello del personaggio, e viceversa, efficacia artistica di pochi e che, nel caso della mini serie, non s’è mai scalfita nel tempo. Per il pubblico, Pavone non ha interpretato Gian Burrasca, Pavone è Gian Burrasca. Il volto e la fisicità adolescenziali e dalle movenze frizzanti sono stati determinanti, così come la tonalità naturale del capello “pel di carota” (seppur la serie fosse in bianco e nero), per luogo comune sinonimo di una bislacca personalità assimilabile a quella di Giannino, e forse anche l’esperienza personale di essere nata lei stessa in una famiglia di quattro figli in cui, guarda caso – a ribaltamento di Giannino – era l’unica femmina, dunque la conoscenza direttissima di una così specifica micro società e della sue meccaniche, probabilmente è stata incidente; con – dulcis in fondo o, in primis – l’indiscusso talento vocale che ne ha permesso un versatile gioco canoro, definendo la riuscita di Pavone nella parte musical a tutto tondo, espressione di sana ribellione e libertà.
Potrebbero “bastare” i nomi di Pavone e Wertmüller a dar prestigio a questo spaccato di Storia della tv, ma valore aggiunto sono anche altri celebri artisti: Piero Tosi firma i costumi, mentre Luis Bacalov e Nino Rota le musiche, in particolare quest’ultimo – con la stessa regista – sono autori del brano simbolo di Gian Burrasca, Viva la pappa col pomodoro (sigla), arrangiato dal musicista argentino (e, successivamente, inciso dalla cantante in altre lingue).
E se di “nomi” parliamo – con Pavone indubbio cuore e specchio della mini serie – impossibile è non pensare anche alla rosa di comprimari di prim’ordine: il babbo, Ivo Garrani, la mamma, Valeria Valeri, e poi le sorelle Stoppani, Virginia – Milena Vukotic, Luisa – Pierpaola Bucchi e Ada – Alida Cappellini; ancora, chi non ricorda Arnoldo Foà nei panni dell’avvocato Maralli o Bice Valori in quelli della severa preside del collegio? Sbirciando poi nei cosiddetti “secondari” saltano all’occhio identità artistiche tutt’altro che di seconda linea, tra cui Enzo Garinei, ovvero il dottor Peruzzi, e Gosto, interpretato da Carlo Croccolo.
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