Stallone lotta ancora. Per l’Oscar

Il Golden Globe a Sylvester Stallone come miglior attore non protagonista, che prelude a una nomination all’Oscar, si accompagna intelligentemente all’uscita di Creed - Nato per combattere (il 14 genn


Il Golden Globe a Sylvester Stallone come miglior attore non protagonista, che prelude a una nomination all’Oscar, si accompagna intelligentemente all’uscita di Creed – Nato per combattere (il 14 gennaio), spin-off della serie Rocky dove l’ex pugile Balboa, fiaccato da una vita di sofferenze e delusioni e, in aggiunta, anche dal cancro, si trova ad allenare il figlio del suo antico rivale Apollo, che ora diventa un suo potenziale erede (ma che deve prima dimostrarsi degno) e che ha la faccia – incredibilmente somigliante a quella di Weathers, interprete di Apollo – del giovane e grintoso Michael B. Jordan. Adonis, questo il nome del ragazzo, è in cerca di riscatto. Suo padre, la leggenda, non è riuscito nemmeno a conoscerlo. E così anche l’attore che lo interpreta, che qui cerca di recuperare la gloria dopo il fallimento del reboot dei Fantastici 4, in cui interpretava la torcia umana (prima versione di colore del personaggio dei fumetti, poco amata dal pubblico).

Ma, anche se si tratta di un capitolo diverso da ciascuno dei precedenti (anche per stile e approccio) Balboa è più protagonista di quanto potrebbe sembrare a un primo sguardo. Suo il punto di vista, disilluso e disperato, di  un uomo che ha perso tutto – la carriera, ma anche la moglie, gli amici e perfino il figlio, allontanatosi da lui per paura di restare nella sua ombra – e ora non ha voglia di ricominciare. Sarà l’incontro con Adonis a cambiare la sua prospettiva. Il film non si appiglia a fattori nostalgici: quasi assente la tipica ‘fanfara’ della soundtrack di Rocky durante gli scontri, sostituita da un’incalzante colonna sonora rap (anche se un piccolo accenno è inevitabile, nel momento climax). Gli scontri sul ring non sono spettacolari come quelli di Rocky IV, ma rapidi e brutali e occupano una parte inessenziale del plot. La lotta reale, quella che conta, è fuori dal ring. Lotta per la vita per Rocky, attaccato alle macchine della chemio mentre il suo pupillo si allena. Lotta per l’onore per Adonis, che vuole tenere alto il nome della famiglia. Il futuro sa di fallimento, ma non per questo bisogna smettere di combattere. E lo si fa con raziocinio, dignità ed eleganza, anche fuori dalla finzione filmica, lasciando anche fuori scena tutto ciò che potrebbe provocare la ‘lacrima facile’. Idealmente la pellicola si pone come una ripartenza per una nuova serie. Già annunciato un nuovo capitolo, non si sa ancora se seguito o prequel, ma sicuramente non tornerà a dirigerlo il regista Ryan Coogler. E’ notizia di oggi che sarà impegnato con un cinecomic Marvel, Black Panther. Probabilmente molto farà anche una eventuale premiazione di Stallone da parte dell’Academy, dato che la pellicola è stata già accolta ottimamente in Usa sia dalla critica che dal pubblico.

E pensare che Stallone inizialmente non voleva saperne, lasciandoci poi convincere dall’entusiasmo di Coogler, di Jordan e dei produttori originari di Rocky, Irwin Winkler e Robert Chartoff, da cui è partita l’idea. “Rocky è una delle poche cose che mi sono riuscite bene – ha detto Sly in un’intervista – diciamo che la mia vita è fatta dal 96% di fallimenti e un 4% di successi, ma anche questo serve. Ora ho la stessa età che aveva Burgess Meredith ai tempi del primo film, dove interpretava il mio allenatore. Buffo no? Certo non potevo tornare a dare cazzotti.

“Stallone è diverso da Rocky – ha detto invece il regista Coogler – Non appena l’ho conosciuto mi sono reso conto che lui è davvero l’opposto di Rocky, non si muove come lui, la sua personalità è completamente diversa. L’unica cosa che gli appartiene di quel personaggio è la voce, Mio Dio, quando l’ho sentita sono rimasto colpito dal suo carisma. È stato davvero un attore sottovalutato”.

Ma forse, ora, le cose sono destinate a cambiare.

Andrea Guglielmino
12 Gennaio 2016

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