SPAGHETTIDIGITAL #2


Diapason Una coppia di amanti in un letto. Un lento carrello e un dolly seguono le linee dei loro corpi avvolti in un’atmosfera sensuale. La musica in sottofondo sottolinea il dramma del loro amore impossibile. Ma come! Il dogma non prevede né luci, né trucco, né colonna sonora, né dolly! Solo macchina a mano e luce naturale. La musica, se c’è, deve provenire dalla scena, deve essere interna alla storia (un personaggio che accende una radio per esempio). Ma soprattutto, la sequenza in questione è girata in pellicola. Dov’è il rispetto del Dogma 95? Eppure in testa al film c’è tanto di certificato di autenticazione firmato Lars Von Trier e Thomas Vinterberg…
Antonio Domenici si è semplicemente voluto divertire, con il placet dei registi danesi, infilando all’inizio del suo Dogma italiano (l’undicesimo) una sequenza volutamente contraria al manifesto, che però rivela subito la sua estemporaneità: si tratta di un film nel film, interrotto dallo stop del regista scontento e dai problemi dell’attrice principale. Di colpo entriamo così nel Dogma: riprese digitali, fotografia sporca, camera a mano.
Diapason Diapason, costato un miliardo e duecento milioni, esce il 30 marzo.
Ma perché ne parliamo nell’ambito di quest’inchiesta? Perché tra le dieci regole ferree del Dogma c’è il divieto di usare il cosiddetto parco lampade, che con la pellicola è indispensabile per illuminare il set. Solo con il digitale, dunque, è possibile girare un film senza luci, in sei settimane, di cui quattro di notte e due di giorno. Domenici ammette che la leggerezza del digitale consente di velocizzare i tempi di ripresa (“la telecamera Sony Digital Betacam era manovrata a spalla da un operatore svedese talmente bravo da riuscire a far credere che usasse un cavalletto”) e di concentrare l’attenzione sugli attori, cui viene concesso di ripetere più volte senza il rischio di buttare milioni in pellicola, che costa tantissimo.
La fotografia di Frederic Fasano è tecnicamente quasi perfetta. Spesso si fa fatica a percepire la differenza con la pellicola. Soprattutto nelle scene notturne, in cui è più difficile non “sgranare” e così rendere evidente il supporto elettronico invece di quello chimico. E il costo bassissimo del film (prodotto dal Gruppo Minerva International e da Flying movies) suggerisce ancora una volta che il digitale ha davanti a sé una strada in parte ormai già percorsa anche qui da noi.

autore
23 Marzo 2001

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