Ricordate La leggenda del pianista sull’oceano di Giuseppe Tornatore o Nirvana di Gabriele Salvatores? Si tratta di due grandi film che hanno portato fortemente alla ribalta il tema dell’uso degli effetti visivi digitali nel cinema italiano, ma si tratta anche di due film profondamente diversi, nei quali l’uso della nuova tecnologia risponde a esigenze espressive divergenti.
Questo è sostanzialmente il nodo della questione. Si possono sfruttare le infinite possibilità visive offerte dal digitale per creare nuovi e incredibili mondi fantascientifici (come nel caso di Nirvana) oppure per rendere possibile la rappresentazione di storie realistiche che presentano difficoltà logistiche di ripresa (come per La leggenda del pianista sull’oceano). Entra poi in gioco anche una considerazione di economicità che è anzi, in molti casi, uno dei principali incentivi all’utilizzo del digitale.
Il punto è però che in Italia scarseggiano le “sceneggiature fantascientifiche”. Il nostro “stereotipo narrativo” è molto lontano dal modello americano che porta alla produzione di opere stile Matrix e si potrebbe pensare che l’uso della tecnologia digitale per l’intervento sulle immagini sia inutile quanto incongruo nei film italiani.
In realtà, come ci ha spiegato Gian Luca Rizzo di Proxima – la più importante società romana di produzione di effetti visivi digitali – si interviene oggi su circa l’80% dei film italiani che escono nelle sale, anche se in molti casi solo per correggere degli errori o per aggiungere oggetti digitali alla scenografia. Certamente lo spettatore comune non immagina una tale incidenza delle nuove tecnologie nelle opere nostrane, proprio perché molti interventi sono da questo punto di vista “insospettabili”.
Pensate a Concorrenza sleale di Ettore Scola: si tratta di un film assolutamente realistico, ma il trucco c’è. La cupola di San Pietro che fa da sfondo a tante scene è finta, fatta di bit! Oppure a Piccoli maestri di Luchetti in cui sono state ricostruite digitalmente intere porzioni di scenografia.
Seppur ancorata alla narrativa tradizionale, l’Italia non è quindi così disinteressata alle innovazioni tecnologiche. Si sta forse trovando, anzi, una “via italiana” al digitale, con interventi orientati all’economicità della produzione, alla soluzione di problemi di ripresa e, più raramente, all’introduzione di elementi spettacolari. Si va verso una sorta di integrazione delle vecchie tecniche e delle nuove.
Caso esemplare è Non ho sonno di Dario Argento, in cui diverse scene “splatter” richiedevano un ritocco in postproduzione per raggiungere la giusta verosimiglianza. Sergio Stivaletti, specialista di effetti speciali meccanici con alle spalle lunghi anni di esperienza, ha trovato una brillante soluzione per far esplodere la testa di un personaggio nel modo più realistico possibile. All’esplosione meccanica della finta testa ha aggiunto il ritocco digitale dei frammenti di pelle, carne e cervello che si sparpagliavano sulla scena. Non è fantascienza, ma è pur sempre tecnologia!
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