La primavera del cinema digitale, rivitalizzato da nuove tecnologie e dai dettami stilistico-estetici del Dogma, ha contagiato anche l’Italia, dove le cose stanno cambiando velocemente pur se non tutti sembrano accorgersene. Molta acqua invece è passata sotto i ponti da 1999 – quando aprì la strada, un po’ in sordina, Emanuela Giordano, con Due volte nella vita – a cominciare dal numero di film girati con la nuova tecnologia, aumentato esponenzialmente.
Qualche titolo: L’amore probabilmente di Giuseppe Bertolucci (realizzato in molti formati, DVCAM, MiniDV, Betacam SP, 16 millimetri), Seduti sull’ombra di Marco Puccioni, Questo è il giardino di Giovanni Davide Maderna, Autunno di Nina Di Majo, Scarlet diva di Asia Argento (guarda il sito ufficiale), Dorme di Eros Puglielli, l’appena uscito Diapason (leggi la recensione) di Antonio Domenici, Terrazzi di Stefano Reali (girato esclusivamente per internet). Senza la tecnologia digitale alcuni di questi film non si sarebbero fatti. Film diseguali nella resa, d’accordo, ma sarebbe ipocrita non accorgersi che c’è qualcosa nell’aria.
Che cos’è esattamente il digitale applicato al cinema? Le aree di intervento sono molte, e qui per semplificare diremo che in digitale si può riprendere il film (con telecamere di vari formati), lo si può montare, lo si può riempire di effetti speciali. Invece di usare la tecnologia tradizionale della pellicola (procedimento chimico) si utilizza la nuova tecnica elettronica, sostituendola in tutto e per tutto, oppure affiancandola là dove serve.
C’è un film, in attesa di trovare distribuzione, nei cui titoli di testa appare in quasi tutti i ruoli tecnici e artistici (regia, soggetto, sceneggiatura, riprese, montaggio, produzione) sempre lo stesso nome, Franco Bertini. Si intitola Tuttapposto, e sembra il prodotto di un one-man-band allo sbaraglio. Uno che “doveva” fare un film. Tuttapposto è la conseguenza di quella pensata, ma forse nemmeno il regista aveva immaginato questo risultato finale.
A parte la qualità dell’immagine, sporca, sgranata, e le riprese tutte a spalla (ma ormai il Dogma ci ha abituato anche a peggio), quel film fatto con qualche amico nei ritagli di tempo ha assunto pian piano in fase di montaggio la fisionomia delle migliori commedie di una volta, colmo di ritmo, con un’ottima recitazione e una storia coinvolgente e un po’ grottesca. Un film che si tiene in piedi con le idee. Il resto (troupe, soldi, preacquisti televisivi), praticamente, non c’era.
Non ci fosse stato il digitale, la leggerezza fisica della telecamera e del portafoglio necessario per produrlo, Tuttapposto non si sarebbe mai fatto, e Felice Laudadio non se ne sarebbe innamorato, la commissione di Cannes non l’avrebbe visto e le circa duecento persone presenti all’anteprima di Cinecittà qualche settimana fa non si sarebbero divertite come raramente era successo.
In attesa che qualcuno se ne accorga, prendiamo spunto da questa esperienza per raccontarvi altri “miracoli” che il digitale ha fatto e senza ombra di dubbio continuerà a fare.
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