“Slipstream”, nel delirio con Hopkins


Dolly Parton, Nixon, il Vietnam, L’invasione degli ultracorpi, omicidi, attori malati e produttori furiosi, flashback, deja vu, riferimenti a Richard Burton e Hannibal Lecter. Nella sceneggiatura fuori controllo di Slipstream c’è tutto questo e molto di più. Nel suo ritorno alla regia a dieci anni da August, Sir Anthony Hopkins si è concesso ogni eccesso. Il suo film, in corsa per il Pardo d’oro di Locarno, è un’allucinazione di 110′. Un tuffo nei labirinti che David Lynch ha illuminato meglio di nessun altro: le vertigini del cinema e della psiche, la frantumazione del reale e dei piani narrativi, la violazione dei confini tra ciò che sta davanti e dietro la macchina da presa. L’overload sensoriale è una sfida deliberata alla pazienza del pubblico e dei critici che al Sundance non hanno risparmiato stoccate.

 

A 70 anni da compiere a dicembre, l’attore premiato con l’Oscar per il ruolo dello psichiatra cannibale del Silenzio degli innocenti dichiara: “Sono un ribelle. Volevo provare qualcosa di sperimentale e folle. Qualcosa che nessuno aveva mai osato fare. Ho scritto la sceneggiatura seguendo il flusso di coscienza. Alla fine sono rimasto sorpreso di essermi spinto tanto lontano. Ho raggiunto la conclusione che la vita è un’illusione. Questo film ne è la metafora”.

 

All’inizio della pellicola fotografata da Dante Spinotti, Felix Bonhoeffer, lo sceneggiatore interpretato da Hopkins, è testimone di un sanguinoso incidente provocato dalla rabbia di uomo che urla: “We’ve lost the plot” (“Abbiamo perso la trama”). Nelle scene successive Gina, cameriera del Chelsea Bar (l’attrice è Stella Arroyave, moglie del regista e produttrice) si prepara ad andare a Las Vegas con l’anziana zia, l’appariscente Bette Lustig. Mort, il suo capo, è rapito e ucciso da Ray, un gangster psicotico (Christian Slater) che pochi minuti dopo terrorizzerà Gina e gli altri clienti di un diner. Mentre Slater si esibisce in un delirante monologo sull’L’invasione degli ultracorpi (riferimento, spiega Hopkins, ai media che hanno rapito la coscienza collettiva), il campo visivo si allarga e rivela che siamo sul set di un film scritto da Bonhoeffer. Slater muore, il set è nel caos, il produttore, (John Turturro) ordina allo sceneggiatore di riscrivere il film. Bonhoeffer vede i personaggi invadere la sua vita. La collisione tra realtà e fiction è inarrestabile.

 

L’ambientazione nel deserto tra joshua tree, corvi, tarantole, serpenti e capi indiani, è set perfetto per un bad trip senza ritorno. “Nel deserto ho avuto delle esperienze folli con la tequila – ricorda il regista – Bonhoeffer atterra in un mondo stranissimo. Io stesso nella mia vita ho vissuto in quella sorta di limbo”. Si sa che Steven Spielberg ha giudicato la sceneggiatura interessante ma trovare finanziamenti non è stata una passeggiata, nonostante il nome Hopkins: “Un paio di produttori hanno chiesto revisioni e tagli. Ho detto no, volevo tenere il controllo per me, avere libertà completa. L’unico che mi ha sostenuto è stato Robert Katz. Poi mi sono rivolto a finanziatori privati. Christian Slater e John Turturro hanno accettato subito e questo mi ha dato entusiasmo”.

 

La chicca di Slipstream è la scena in cui Turturro, adrenalinico tiranno del set, ha l’ennesima strepitante conversazione telefonica: “Ehi Dino come stai? Stai lavorando a Hannibal 4?”. Il regista attribuisce all’attore la paternità dell’invenzione: “Turturro ha improvvisato. Io ho tenuto la scena”. Il film, acquistato per l’Italia da Delta Pictures, sarà in sala a febbraio 2008. Il prossimo anno usciranno negli Stati Uniti anche le ultime fatiche di Hopkins attore: City of Your Final Destination di James Ivory e Beowulf di Robert Zemeckis.

03 Agosto 2007

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