Simone Massi: io animatore resistente


Disegnatore, regista, animatore: Simone Massi è una perla rara nel panorama cinematografico italiano. Marchigiano, di Pergola per l’esattezza, inizia la sua carriera negli anni ’90 realizzando brevi cortometraggi nei quali era già visibile il suo stile fatto di chiaroscuri, giochi di forme, simbolismi e immersioni nei ricordi e nell’inconscio. I suoi lavori da Immemoria a Dell’ammazzare il maiale – vincitore quest’anno del David di Donatello e destinatario di diverse critiche positive – hanno girato il mondo e ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali.

La Cineteca di Milano gli ha da poco dedicato una monografia critica e oggi la Mostra di Pesaro lo omaggia con una retrospettiva completa di tutti i suoi cortometraggi. Eppure Massi continua ad autoprodursi e sul suo sito ufficiale (http://www.simonemassi.it/) troneggia la scritta “animatore resistente”.

 

Massi, perché questa definizione?
Per due motivi buoni e validi: ho molto a cuore il tema della Resistenza, che ho anche trattato nel mio primo lavoro, Immemoria, e che tratterò nel prossimo in fase di ultimazione dal titolo Animo resistente. E poi perché credo che il mio lavoro sia una forma di resistenza. Sono diciannove anni che faccio animazione da solo, senza padroni e padrini, senza soldi, e secondo me ho fatto animazione resistente, considerate soprattutto le difficoltà che ho incontrato e il paese in cui viviamo.

 

In Italia si può fare dell’animazione un lavoro?
Si può se la si fa come la faccio io, cioè se si è disposti a sacrificare altre cose per la passione, a lavorare gratis per inseguire il sogno di fare un cinema libero, poetico che non deve render conto a nessuno, né ai produttori né agli spettatori. Io sono la dimostrazione che si può fare, poi però bisogna vedere in quanti sono disposti a farlo.

 

Ha ricevuto premi in tutto il mondo e ora anche il David di Donatello: mai nessuno le ha proposto un lungometraggio?
La verità? No, mai ricevuto proposte. E nel momento in cui mi sono proposto io, anche recentemente, ho sempre trovato porte chiuse. C’è questa barzelletta in Italia, che vogliono spacciare per vera, per cui non ci sono soldi. Ma sappiamo tutti che è una sciocchezza. La mia regione, ad esempio, le Marche ha fatto uno spot di 30 secondi che è costato 2 milioni. E’ la dimostrazione che i soldi ci sono se hai i santi in paradiso, altrimenti no. Ho sempre vissuto in questo paese, so come funziona, quindi adesso evito di andare a bussare alle porte, tanto so che per me sono chiuse.

 

La sua terra, le Marche, è centrale nel suo lavoro artistico. Cosa la lega così tanto?
C’è una componente affettiva molto forte, per i posti, per certi ricordi. La mia storia, anche precedente alla mia nascita, si è svolta qua e così anche tutte le storie che ho sentito e visto di persona. Non voglio idealizzarla nei miei film, ma per me è importante perché le mie radici affondano in questa terra. C’è anche il marcio, ma nei miei lavori cerco di lasciarlo da parte. Preferisco sempre portare sullo schermo sensazioni lievi, delicate, che per qualche motivo restano impigliate in una sorta di rete che ho dentro. Le persone che ci hanno preceduto hanno lasciato alle generazioni successive dei piccoli tesori io li chiamo così ed io, con il mio lavoro, voglio raccontarli.

 

Da un punto di vista tecnico, quali sono le diverse fasi del suo lavoro?
Lavoro come un secolo fa, a mano con dei fogli di carta. Per prima cosa faccio dei disegni a matita che vengono scannerizzati e che poi diventeranno il line-test necessario ad accertarsi se funzionano i tempi e il montaggio del film. A quel punto ogni singola tavola viene colorata con i pastelli ad olio, con due stesure di colore, prima il bianco poi il nero. Per ultima cosa, con degli strumenti da incisione tolgo del nero fino a tirare fuori il bianco che mi serve per ottenere il chiaroscuro.

Che cosa manca all’Italia per far evolvere il cinema d’animazione?
Il nostro è un paese strano, anomalo, molto simpatico ma anche molto carogna, servile. Questo è un difetto grave, che ha fatto sì che in Italia l’animazione non venisse considerata un’arte ma una perdita di tempo o una bizzarria, nel caso del cinema d’animazione d’autore, e come un gioco o una buffonata, nel caso di film destinati al pubblico dei bambini. Io comunque continuo per la mia strada.

27 Giugno 2012

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