CANNES – “Se avviene un attentato in qualunque parte del mondo, in Romania tutti continuano a vivere e a essere assorbiti dalle loro vicende, però a tavola si scatenano discorsi su cose accadute in luoghi lontani, come in Francia per Charlie Hebdo o in America per l’11 settembre, mentre magari non si sa nulla delle cose della propria famiglia, di cui si è protagonisti”. È stato accolto dagli applausi a Cannes il western familiare Sieranevada di Cristi Puiu, regista romeno che sfilò sulla Croisette con La morte del signor Lazarescu nel 2005 (vincendo il Gran Prix al Certain Regard) e ora gareggia per la Palma d’Oro.
Il suo nuovo film, che sfida (e cattura) l’attenzione del pubblico con una durata di due ore e 53 minuti, è un dramma con momenti molto ironici che si consuma tutto in un appartamento in occasione della riunione di famiglia per un pranzo funebre. E’ morto il padre di un medico quarantenne (Mimi Branescu), al centro della storia insieme alla moglie (Dana Dogaru). Sono passati 40 giorni dall’evento luttuoso e solo 4 dalla strage di Charlie Hebdo, che inevitabilmente entra nella storia portando le conversazioni verso un curioso mix che oscilla tra personale e politico, con divagazioni complottistiche che rievocano l’attentato alle Torri Gemelle e valutazioni sulla Romania post-Ceausescu. “Volevo raccontare ciò che succedeva nel mondo in modo molto soggettivo – ha spiegato il regista in conferenza stampa – Spesso le vicende che compongono la nostra storia personale sono delle fiction. Ho scelto il titolo Sieranevada per allontanarmi, per evocare il fatto che ciò che narro è universale”.
Impavido rispetto alla durata proibitiva – “Non mi sono posto il problema – ha detto Puiu – non avevo niente da perdere e mi sono lasciato andare, mi sono concesso la libertà di non pensare alla reazione del pubblico – il cineasta ha commentato lo stato di salute del suo cinema, che quest’anno ha due titoli in concorso sulla Croisette (l’altro è Bacalaureat di Cristian Mungiu): “Sono contento che Cannes e Berlino riconoscano il valore del nostro cinema e lo proteggano, ma le cose non vanno molto bene da noi: ci sono pochi finanziamenti e io stesso ho impiegato due anni per montare questo film con una coproduzione tra cinque paesi. Si capiscono molte cose, poi, se si pensa al numero delle sale cinematografiche in Romania: alla caduta del regime di Ceasescu c’erano 450 schermi, ora ce ne sono appena 100”.
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