Sesso, amore e sogni per Dag Johan Haugerud: “Non spiego i miei film, appartengono al pubblico”

Con l'Orso d'Oro conquistato all'ultima Berlinale con 'Dreams', il regista norvegese ha chiuso una trilogia che parla di affetti ed empatia; ritratto di un'umanità raccontata senza pregiudizi. L'intervista dal Bolzano Film Festival


BOLZANO – Con i tre film Sex, LoveDreams, il norvegese Dag Johan Haugerud ha raccontato le relazioni umane fuori da modelli e schemi di genere. Nei suoi film, si parla di affetti, desideri, ma soprattutto dell’empatia di cui l’essere umano, e il cinema, necessitano per restare in vita. Dalla studentessa al medico, i personaggi di Johan Haugerud arrivano allo spettatore nella loro universalità. Archetipi, ma non stereotipi, immersi in una città viva – Oslo – che da specifico palcoscenico si fa mondo. Un progetto che gli è valso il plauso della critica, il riconoscimento del pubblico e molti premi, tra cui il primo Orso d’Oro alla Berlinale per un film norvegese, conquistato nel 2025 con l’ultimo titolo della trilogia, Dreams. In Italia, li vedremo in un ordine diverso, al contrario: prima è uscito Dreams, il 13 marzo, mentre ora uscirà Love, il 17 aprile, e infine Sex, dal 15 maggio (tutti distribuiti da Wanted). “Non è un problema”, ha garantito il regista. Anzi, sostiene, è un’opportunità. Così come la trilogia offre un caleidoscopio di prospettive su temi fondamentali, tra cui il sesso, l’amore e i rapporti sentimentali, “vederli separatamente, in qualsiasi ordine, offre stimoli diversi”. I tre titoli sono stati proiettati nel corso della 38ma edizione del Bolzano Film Festival, a cui ha preso parte anche il regista norvegese.

Sesso, Amore, Sogni. Queste le tre colonne della tua trilogia. Credi che il racconto di questi temi, nel cinema, sia cambiato negli ultimi anni?

È una domanda difficile. Ci sono molti film su sesso e sessualità, ma non credo che la morale sia cambiata molto riguardo a ciò che ci aspettiamo da essi. Forse nei più giovani, ma dipende da dove vengono, dal loro background. Quando guardano Sex, mi dicono che trovano interessante vedere la generazione dei loro genitori parlare di questi temi. È un aspetto che li colpisce.

Nella trilogia incontriamo personaggi eterosessuali che escono dai binari eteronormati e riflettono da nuove prospettive sulla loro mascolinità, un tema oggi sempre più centrale. C’è un utilizzo diverso dell’elemento queer. Come hai sviluppato questa riflessione?

Volevo esplorare cosa sia davvero la mascolinità. Se ne parla molto nei media, spesso in modo tradizionale, come se si volesse tornare a una vecchia idea di mascolinità invece di pensare in modo più fluido a cosa significa essere uomo. Per Sex, ho discusso a lungo con gli attori. I protagonisti sono uomini eterosessuali, ma non si sono mai pensati come tali: è qualcosa che hanno vissuto. Quando vedono l’immagine stereotipata della mascolinità, non si riconoscono. Questo mi sembra interessante. Volevo che il tema queer si intrecciasse con l’eterosessualità, e non solo per il pubblico queer. Molti film queer sembrano fatti per una bolla, dove le persone queer interagiscono solo tra loro. Io volevo mostrare che la queerness è ovunque, per farla vedere anche nella società eterosessuale, offrendo un nuovo punto di vista su vari livelli.

Hai concepito da subito la trilogia o è una cosa che è nata lavorando su ogni singolo film?

L’ho pensata subito come una trilogia per esplorare un tema da diverse angolazioni, con prospettive e attori diversi, anche di sessi differenti.

È importante l’ordine dei film? In Italia Sex uscirà per ultimo, ma inizialmente è stato pensato come primo della trilogia: è un problema secondo te?

Non penso sarà un problema. Inizialmente l’ho pensato con un ordine, ma ho parlato con persone che l’hanno visto seguendone uno diverso e pensano che funzioni abbastanza bene. Sono molto felice di sentirlo, perché significa che possono funzionare separatamente e che si arricchiscono a vicenda quando li vedi in ordini diversi, offrendo prospettive differenti. Non penso sia una cosa negativa.

Racconti in tante interviste che ascolti molto gli attori sul set e costruisci i film con loro. Come funziona il tuo metodo?

Faccio il casting prima di scrivere, so con chi lavorerò e scrivo per loro, pensando a cosa possono ottenere e sfidandoli a fare qualcosa di nuovo. Se dicono sì, discutiamo, mi danno feedback e a volte riscrivo sul set le loro parti. Il loro riscontro è importante: è punto di partenza per la discussione sui personaggi, perché se c’è un elemento che non capiscono, probabilmente è perché lì si nasconde una cosa interessante su cui lavorare di più nella sceneggiatura o da tenere a mente.

Ti interessa che l’attore comprenda l’obiettivo dell’opera che stai costruendo?

È un tema interessante. Discutiamo se devono capire tutto. Io stesso non capisco tutto, e questo mi spinge a esplorare. A volte, sullo schermo, vedere lo smarrimento nei loro occhi è potente.

Oslo, con la sua atmosfera, è uno dei protagonisti della trilogia. Qual è il tuo rapporto con la città e ti aspettavi che queste storie potessero avere un riscontro globale?

Senza dubbio il film è un’indagine su Oslo, ma scrivo seguendo i miei interessi, non pensando a come reagirà il mondo. Scelgo le location per curiosità. Fare un film mi permette di osservare un luogo a lungo, come un antropologo. Voglio osservare da vicino questa parte della città, guardare davvero qualcosa per molto tempo e vedere com’è. Non sono di Oslo, ci vivo da 30 anni, ma questo mi rende curioso di come si è sviluppata. Reagisco fortemente all’ambiente, e questo mi guida.

C’è un film della trilogia con cui hai un legame maggiore?

Sì, ma non dico quale. Posso dirti però che Dreams è stato il più difficile da realizzare. Non so perché abbia avuto successo a Berlino, per me è un mistero. Forse è una cosa buona, visto che ha vinto un premio. Alcuni non amano Dreams ma adorano Love, altri amano Sex ma trovano Love troppo semplice. Le preferenze riflettono chi sono. Non amo parlare troppo di cosa penso dei miei film. Ho la sensazione che se dico troppo, tolgo qualcosa al pubblico. Quando vedo un film, non ascolto il Q&A del regista: non voglio sentire cosa lei o lui abbia pensato di ciò che ha creato. Come spettatore possiedo il film, in un certo senso. E se un film mi colpisce davvero e significa molto per me, voglio solo tenerlo per me.

Per preparare la trilogia ti sei ispirato a qualche regista o film specifico?

Più che registi, alcuni libri sono stati fondamentali. Li leggo, mi ispirano e scrivo. Parlarne nei film può essere una raccomandazione per il pubblico. Penso che funzioni sempre così per me. E poi penso che sia interessante anche parlare di questi libri nei film. Sai, se ti piace un film e in quel film senti parlare di un film, magari lo recuperi. È un modo per consigliarlo.

E infatti nella tua vita sei stato anche libraio. Ti consideri più regista o scrittore?

Entrambi, ma tutto inizia con la scrittura. Scrivo ogni giorno, è il mio modo di sviluppare idee. La regia viene dopo, quando trasformo quelle idee in immagini, ma la scrittura è sempre il punto di partenza.

E ora stai scrivendo un film o un libro?

Entrambi, appunto. Sto scrivendo un romanzo e una sceneggiatura per un nuovo film. La scrittura è una parte centrale del mio lavoro, mi permette di esplorare idee che poi possono diventare film o libri. Spero di realizzarli presto, ma è un processo che richiede tempo.

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