“Quando abbiamo mostrato Madagascar per l’inaugurazione di questa edizione, molte persone hanno detto “che vergogna, il festival mostra un film industriale!”, dimenticando che nei tre anni precedenti abbiamo proiettato rispettivamente un film giapponese, un film futuristico franco-coreano e una selezione di film muti dal 1906 al 1931 accompagnati al pianoforte.” Serge Bromberg, direttore artistico di Annecy Animation in programma fino all’11 giugno, racconta le scelte del festival e i cambiamenti dell’industria – ma anche dell’arte – legata al cinema d’animazione.
Produttore della Lobster Film, responsabile della collezione di Dvd francesi di Cinéma Muet” (Cinema muto), animatore e dal 1999 direttore artistico del festival Serge Bromberg, una personalità simpaticamente istrionica, è prima di tutto un grande appassionato di cinema. Per lui “se altri festival vogliono iniziare a promuovere l’animazione, questa è una buona notizia perché amplia gli orizzonti e le finestre di visibilità di questo genere di cinema”.
Annecy è ormai il festival più importante al mondo tra quelli di animazione…
Quando il festival nacque 45 anni fa, era piccolo, poi crebbe poco a poco ma aveva sin da allora un forte messaggio e una precisa identità che si può riassumere nel tentativo
costante di far vedere le molte facce e i numerosi talenti del mondo dell’animazione. Mostrando il meglio e il peggio noi abbiamo sempre avuto come obiettivo principale promuovere gli artisti e le loro creazioni. Dagli anni Sessanta, quando il festival muoveva i primi passi e cercava di promuovere la ricerca al di fuori dei grandi Studios come la Disney per esempio, ad oggi, la situazione è mutata anche perchè nel frattempo le major hanno compreso che dovevano investigare e investire risorse in nuove forme di animazione e nella ricerca di nuovi talenti. L’animazione è come un giardino; se hai solo fiori gialli il giardino sarà giallo, ma se abbiamo fiori di ogni colore allora il giardino
sarà più bello e colorato.
Questo festival è alla ricerca di un equilibrio tra animazione sperimentale e commerciale e tra le diverse tecniche…
E’ difficile bilanciare tutti questi elementi e lo si può fare solo attraverso la modestia e la verità, e si ottiene attraverso la giustapposizione di molte “bugie”. Ogni autore ha la propria visione e il mondo dell’animazione è la risultante di tali visioni, ma nessuna di queste è la verità e nessuna può affermare che le altre non lo siano. Quando abbiamo mostrato “Madagascar” per l’inaugurazione di questa edizione, molte persone hanno detto “che vergogna, il festival mostra un film industriale!”, dimenticando che nei tre anni precedenti abbiamo proiettato rispettivamente un film giapponese, un film futuristico franco-coreano e una selezione di film muti dal 1906 al 1931 accompagnati al pianoforte. Io voglio meravigliare il pubblico, mi piace che la gente possa pensare che ciò che vede sia bellissimo oppure una vergogna. Posso sbagliare o fare bene, ma seguo sempre il mio istinto e il mio cuore e questo è un altro segreto di Annecy. Lo scorso anno, per la prima volta nella storia del festival, il Gran Premio è stato vinto da un film Disney (Lorenzo, ndr.); trovo che questo sia un grande segnale di maturità e affermazione perché anche quella realizzata dagli Studios si pone sul sentiero comune dell’animazione.
Qual è a suo giudizio il futuro del grande cinema di animazione a carattere
familiare?
La grande animazione, quella degli Studios più importanti, sta cambiando negli ultimi anni e i motivi di tale cambiamento sono diversi. Il primo è quello che riguarda il veloce sviluppo della tecnologia che provoca una maggior
facilità di produzione e quindi un allargamento dei soggetti produttivi e contemporaneamente una diminuzione dei costi, che però viene controbilanciata dall’aumento dei budget per la pubblicità e il marketing. Poi anche il pubblico è cambiato; quando avevo dieci anni vedevo dei film che oggi i miei figli vedono forse a cinque e quindi i temi si allargano, diventano sempre più complessi e specchio di quanto avviene nella nostra società, come ad esempio quello della famiglia disfunzionale. Il pubblico diventa sempre più centrale e la macchina del marketing è veloce a intuirne i bisogni o a orientarli e il film è sempre più il frutto di analisi di marketing.
Quest’anno nelle sezioni competitive più importanti del festival non ci sono film italiani. E’ frutto del caso o vi è una ragione specifica?
Non saprei dire. In effetti quello che lei ha notato fotografa la realtà, ma la preselezione delle varie sezioni è effettuata da tre professionisti del settore e indipendenti dal festival ai quali sono sottoposti oltre ottocento film. Quello che posso dire è che gli anni scorsi avevamo film italiani in competizione e che diversi sono stati visionati nelle preselezioni.
Con MaXXXine, in sala con Lucky Red, Ti West conclude la trilogia iniziata con X: A Sexy Horror Story e proseguita con Pearl, confermandosi una delle voci più originali del cinema di genere dell’era Covid e post-Covid
Dove nessuno guarda. Il caso Elisa Claps - La serie ripercorre in 4 episodi una delle più incredibili storie di cronaca italiane: il 13 e 14 novembre su Sky TG24, Sky Crime e Sky Documentaries.
Codice Carla mostra come Carla Fracci (1936-2021) fosse molto più di una ballerina famosa.
Il disegnatore, illustratore e docente presso la Scuola Romana dei Fumetti ci racconta come ha lavorato sugli storyboard dell'ultimo successo di Gabriele Mainetti