“Renato Carosone è stato una leggenda napoletana, italiana e mondiale. Un sanissimo esempio di altruismo artistico: non l’ho mai visto come una persona che pretendeva tutte le luci su di sé. Io ringrazio per l’opportunità e l’onore di aver interpretato – per me napoletano – il Maradona della musica”, dice Eduardo Scarpetta, che nel film Carosello Carosone interpreta proprio l’artista concittadino.
Renato Carosone, all’anagrafe Carusone, nasce a Napoli il 3 gennaio 1920, figlio di papà Antonio, suonatore dilettante di mandolino, e mamma Carolina, che possedeva un vecchio pianoforte.
Carosone – diplomato al Conservatorio – è stato pianista classico e jazzista, dal secondo dopoguerra ai suoi nemmeno quarant’anni autore e interprete della canzone napoletana e di musica leggera, capace di fondere tarantella e suoni dell’Africa e d’Oltreoceano, tanto da essere stato anche uno dei due cantanti italiani (l’altro è Domenico Modugno) ad aver venduto dischi negli Stati Uniti senza inciderli in lingua inglese.
Dal libro Carosonissimo, scritto da Federico Vacalebre, la musica si fa soggetto centrale del film tv Carosello Carosone – in onda su Rai Uno, giovedì 18 marzo in prima serata – diretto da Lucio Pellegrini – soggetto e sceneggiatura di Giordano Meacci e Francesca Serafini -, con le musiche del maestro Stefano Bollani.
“Il mio mito è Carosone e questa è stata un’occasione per ringraziarlo e ‘incontrarlo’: rispose ad una mia lettera, avevo 11 anni. Rai Fiction e Groenlandia li ringrazio perché mettono in scena il lato chiaro, limpido della sua storia. Penso che la chiave del film sia mostrare il percorso di uno che capisce il proprio talento, a tal punto da continuare a incontrare le persone che ‘lo aiutano’, da Gegè all’amore. Eduardo Scarpetta e Vincenzo Nemolato sono stati preparati dal maestro Caravano per la musica e sono stati bravissimi: io personalmente ho realizzato le sue canzoni fedeli all’originale, poi ho realizzato la colonna sonora, mettendo la mia musica sulla vicenda del mio Maestro, e poi l’immaginare la musica che Carosone faceva negli Anni ’30 in Africa è stato proprio come indossare i suoi panni, per me un modo per ringraziarlo tanto tanto, perché se ho fatto musica è stato per il suo consiglio, in quella lettera. Mi consigliò di studiare il Blues, alla base di tutto, qualcosa che magari nell’ ’83 un ragazzino avrebbe impiegato tanto a conoscere, qualcosa che mi ha illuminato la vita e favorito l’improvvisazione”, racconta Bollani.
“Un mese e mezzo prima delle riprese, con Ciro Caravano – già mio insegnante di canto al CSC – ci siamo messi a studiare piano e voce, per cui ho comprato anche una tastiera, per studiare a casa, oltre che dal Maestro. È stato comicissimo quando ho messo entrambe le mani sul pianoforte, mi sembrava impossibile pensare a due in contemporanea: in generale, testa bassa e tanto studio, questo richiede il mio lavoro”, continua Scarpetta.
Carosello Carosone racconta l’ascesa delle classifiche internazionali del musicista italiano più famoso al mondo, un’avventura rocambolesca a ritmo di musica, divertimento e sperimentazione, così com’è un ritratto del tempo, di un’epoca in cui talento e passione, con determinazione, potevano offrire l’opportunità di “far ballare tutto il mondo”.
Per Lucio Pellegrini, regista del film, “era interessante raccontare una storia anche poco conosciuta, ma con canzoni che sono nelle orecchie di tutti, un personaggio esplosivo nella Storia della nostra musica, con una vicenda personale originale – che include anche un ritiro precoce dalla scena -, e rappresenta inoltre la Storia di un Paese, quello del dopoguerra, che ha avuto così un intrattenimento intelligente. Quello che raccontiamo nel film, anche sul figlio Pino, è quello realmente successo – ed è la prima volta che viene narrato nella sua verità, grazie al suo racconto in prima persona, che ha confidato cose così personali”.
Infatti, “per il Carosone uomo io nutro profonda stima, per la conduzione della vita, con la scelta comprensibile e condivisibile di lasciare lo spettacolo a 39 anni, quando arrivato al massimo, prima che la ‘discesa’ accadesse con l’arrivo del rock’n’roll. Poi, l’amore che provava per Lita è oggi una cosa insolita: da uomo l’ha portata a Napoli con il figlio, senza paura, e dicendo: altrimenti, ‘che padre sarei?’”, anche se papà biologico non lo era davvero ma questo è “Un film che parla del suo amore per la musica, altrettanto per la propria famiglia”, afferma Ludovica Martino, nel ruolo di Lita, ballerina e moglie di Carosone. “Mi piace pensarla come una donna che non fosse l’ombra di lui, ma fosse accanto al suo uomo. Il suo guizzo d’indipendenza mi ha colpito, in un cammino di uno accanto all’altra, con l’amore che Renato ha per il figlio di Lita, che ama come proprio”.
Una vita che abbraccia anche quella di Gegè, fedele batterista, compagno di scena insostituibile, cui dà vita Vincenzo Nemolato: “Per la preparazione c’era l’evidente scoglio tecnico dell’affrontare la batteria, e lui è stato uno dei grandi virtuosi dello strumento, per cui ringrazio il maestro Mariano Barba Jr, che mi ha fatto concepire di intendere la vita in modo diverso dall’attore: il batterista concepisce attraverso i suoni che possono dare anche gli oggetti, come nel film si può vedere successe al suo vero provino. Poi c’è stata tutta la preparazione canora, per cui il maestro Caravano mi ha preparato allo spirito delle canzoni, attingendo anche a una tradizione teatrale, che ho potuto affrontare con più scioltezza grazie alla mia esperienza di compagnia”.
Una produzione Groenlandia in collaborazione con Rai Fiction. Sydney Sibilia parla di “Una gioia immensa produrre questo film, il primo biopic di Groenlandia, per cui sentivamo fortissima la responsabilità. E’ nato tutto in un bar, quando partì in sottofondo Tu vuo’ fa’ l’Americano, così ci siamo detti quanto fosse straordinaria e che non fosse stato fatto ancora un film su Carosone, un caso stranissimo, di canzoni famosissime di una persona che s’è sforzata di ‘stare dietro’, perché più importante era intrattenere il pubblico. Noi invece abbiamo voluto dare omaggio anche alla persona”, parole a cui fa eco Matteo Rovere: “Era un progetto con una piccola componente visionaria all’inizio, per cui ringrazio Rai Fiction per aver creato una piccola famiglia. Per Groenlandia è stata una sfida a livello di production design non da poco, con Lucio Pellegrini che è riuscito a tirar fuori il cuore del racconto. Ringrazio Pino Carosone, figlio di Renato, che ha fatto un pò da padrino al film, restituendoci il dietro le quite. Per me è un film sul talento, sulla capacità di affermarsi, sulla meritocrazia in un contesto complesso, grazie al grande lavoro e al grande impegno”.
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