“Pure Antonioni! Non posso crederci. Ha aspettato Bergman per morire”. Saverio Costanzo reagisce così alla notizia della scomparsa del maestro. “Mi colpisce quanto quella di Bergman. Sono due morti profonde. Incontrai Antonioni al Festival di Venezia nel 1995 dove presentava Al di là delle nuvole, un film che non ho amato molto. Preferisco ricordare i suoi classici: L’Avventura, Deserto rosso, Zabriskie Point. Per Bergman ho un’idolatria speciale. E’ stato un insegnante di libertà, capace di influenzare cinema e vita quotidiana. Con 44 film, 5 mogli e 9 nove figli ha avuto una vita da standing ovation”. Domani Costanzo volerà a Locarno, il Festival che l’ha lanciato nel 2004 con il Pardo d’oro a Private e nell’anno della 60/a edizione l’ha voluto come giurato del concorso internazionale. Ancora presto per dire quale amerà di più tra i 19 titoli selezionati, tra il thriller newyorchese Joshua di George Ratliff, il film nel film di Anthony Hopkins (Slipstream) o le visioni digitali di Pedro Costa, Eugene Green e Harun Farocki unite in Memories. Qualunque sia, lo difenderà a spada tratta, forse anche a costo di litigare con gi altri giurati, gli attori Irène Jacob e Bruno Todeschini e i filmmaker Walter Carvalho, Jia Zhang-Ke e Romuald Karmakar
Quali film guarderà con più interesse a Locarno?
Quelli che non si riducono alla cronaca del presente. In giro c’è una grande urgenza di raccontare la realtà ma poca profondità cinematografica. Di recente sono stato nella giuria del Festival del Cinema Europeo di Lecce, ho visto film molti film politici su viaggi, immigrazioni, possibilità di nuovi mondi. C’era anche Lo sguardo di Ulisse di Theo Angelopoulos, anche questo sullo stravolgimento dei confini ma portatore una visione cinematografica di ben altro spessore. Può esserci più politica e cinema in una storia romantica che nel freddo racconto della realtà.
Che tipo di giurato è Saverio Costanzo?
Detesto l’unanimità. Difendo fino in fondo i film che amo.
Chi la incuriosisce di più tra i suoi colleghi giurati?
Mi interessa molto incontrare il regista cinese Jia Zhang-Ke. Ho visto i suoi Still Life e Platform e li ho trovati bellissimi. Poi Irène Jacob, se avrò tempo rivedrò a Locarno La doppia vita di Veronica di Krzysztof Kieslowsky.
Guarda molto cinema cinese?
Non particolarmente. Ultimamente mi è piaciuto I testimoni di André Techiné . Non sono invece tra gli estimatori de Le vite degli altri. La sceneggiatura è perfetta ma lo trovo un cinema un po’ vecchio.
Concorso a parte, quale tra le altre sezioni di Locarno la attrae di più?
Open Doors perché guarda al Medio Oriente ed è una formula di approfondimento del cinema emergente che mi piace molto. Adoro l’atmosfera della Piazza Grande e sono ansioso di vedere Vogliamo anche le rose di Alina Marazzi che stimo molto. La missione di Locarno è far emergere il cinema meno facile, dall’identità forte. Lo fa egregiamente, senza troppo rumore intorno.
Lavora a un nuovo progetto?
Ragiono attorno al alcune idee ma è presto per parlarne. Sarà qualcosa di molto diverso dai film precedenti. Di recente ho accompagnato un gruppo di ragazzi di una scuola di Roma e alcuni sopravvissuti ad Auschwitz. Una cosa che Veltroni organizza ogni anno e chiede a un regista di documentare. Sono partito senza teorie o approcci troppo specifici, pronto a filmare quello che accadeva. E’ un piccolo documentario, frutto di un’esperienza che mi ha dato molto. I diritti sono dell’Istituto Luce, ancora non so quando e dove verrà presentato.
Prossima tappa del suo ultimo film “In memoria di me”?
Il Festival di Toronto.
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