‘Samad’, tra musulmanesimo e cristianesimo, la libertà è essere “solo” un giardiniere

Il film di Marco Santarelli, con Mehdi Meskar e Roberto Citran, ispirati ai veri Samad e Padre Agostino: il protagonista è uscito dal carcere, desidera vivere in onestà, ma il passato e l’appartenenza religiosa lo mettono in mezzo a una rissa carceraria, tra risentimento e libertà di coscienza. L'uscita in sala dal 13 maggio


Il finale è la chiave. La domanda è chiara: “sei musulmano o cristiano?”. La risposta, di Samad (Mehdi Meskar), è cristallina: “io sono un giardiniere”, con cui si afferma la ricerca del riconoscimento di un’identità, al di là della Fede religiosa a cui si appartiene.

Il film di Marco Santarelli, Samad appunto – preceduto da un documentario omologo, e già in anteprima al Bif&st 2024 – è un film che gioca con i concetti di “dentro” e “fuori”: c’era il carcere e c’è la vita da giardiniere appunto, c’era la Fede musulmana ma non si esclude la conversione a quella cristiana, c’era la “gabbia” di questi vincoli, fisici e morali, e c’è il desiderio di libertà.

Infatti, come spiega il regista, “il tema che ho cercato di affrontare con Samad è la libertà vista come scelta, e come la stessa possa creare dei problemi, perché non sempre coincide con il mondo esterno. Samad si trova a vivere un conflitto interno, di natura religiosa e non solo: gli ex compagni pensano la redenzione sia un bluff e il mondo esterno continua a reputarlo come sbagliato. Sono arrivato al film passando per il documentario, realizzando due doc in carcere: avevo l’urgenza di raccontare da un’angolazione differente la vita in carcere. Ho trovato una produzione – The Film Club e Kavac Film con Rai Cinema – disposta a credere nell’idea”.

Ma perché l’esigenza di passare dal doc al film, qual è il valore aggiunto di un ulteriore racconto sul tema medesimo? Santelli spiega di essere “arrivato forte delle esperienze precedenti, ma con in più la possibilità di liberarmi e muovermi liberamente, costruendo una storia diversa: il cinema è libertà, il cinema me l’ha data, proprio lavorando su un piano di finzione”, seppur le sequenze di assalto finale, da parte delle forze speciali di polizia che irrompono nel carcere, siano tutte di repertorio, “donate da un filmaker di Modena che ha offerto il suo materiale”, spiega il regista.

Samad, dunque, nella trama ha finito di scontare la sua pena in carcere – per un’esistenza precedente fatta di malavita e spaccio principalmente – quando viene invitato da Padre Agostino (Roberto Citran) a rientrare momentaneamente tra le sbarre, per portare dentro la dimostrazione della possibilità di un riscatto, e l’affermazione di una libertà limpida e onesta. Il clima si scalda in fretta, lì nella biblioteca della galera, dapprima nello scambio di parole tra Samad e i compagni ancora rinchiusi, rabbiosi e perplessi, e poi con l’intervento di una guardia carceraria, così avviando un precipitare degli eventi, tra coltelli, accoltellamenti e ricatti, sempre tra mondo interno e mondo esterno.

Meskar si dice “molto toccato dalla passione di Santarelli, dopo un doc in cui aveva seguito il vero Samad, con il vero padre Agostino e il suo dialogo interreligioso. I temi che Marco ha voluto trattare – libertà, senso di colpa – ho potuto esplorarli e girare nel carcere richiede si ricrei un microcosmo di equilibrio di forze. Marco, venendo dal documentario, con gli attori ha un approccio più umano: si interessa davvero alla persona, con una semplicità che gli deriva da quell’esperienza, offrendo uno sguardo benevolo, dolce, che permette di aprirsi”.

Samad, nel film, con Citran scambia riflessioni capitali, su cosa s’intenda e cosa resti della “libertà di coscienza”, con l’affermazione certa del prete per cui “sei sempre tu a decidere”, a conferma che il proprio arbitrio e la propria libertà si scelgano da soli, mentre Samad, da coloro che erano gli amici della sua precedente esistenza nera, è scosso e provocato, considerato “infame … miscredente”: “chi lascia l’Islam deve andare all’inferno”, gli dice uno di loro.

E Roberto Citran, delicato e a tratti commovente nel suo ruolo, potente quanto discreto sullo schermo, conferma che Samad sia “un film sulla libertà di coscienza, in cui la chiave è quando padre Agostino affronta un dialogo sul Corano. Il Padre fa da ponte tra mondo interno e esterno: io, lui, l’ho conosciuto davvero, e mi ha colpito la costanza, il continuare a crederci, è un fondista. Poi – aggiunge -, la mescolanza tra attori professionisti e non ha restituito la verità”.

Il 13 maggio 2024, dal carcere “Le Novate” di Piacenza, parte il percorso in sala del film, distribuito da Kavac Film in collaborazione con KIO film, sostenuto da Antigone, associazione che si batte per i diritti e le garanzie nel sistema penale.

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12 Maggio 2024

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