Spello – Salvatore Mereu insignito del Premio Olmi da parte del Festival del Cinema Città di Spello, riconoscimento che l’autore di Assandira accoglie con gratitudine ed emozione per l’accostamento al maestro bergamasco.
Mereu, Ermanno Olmi è stato un maestro del cinema delle tradizioni, del territorio, delle prassi operaie e delle spiritualità: sono atmosfere percepite anche nel suo cinema, e il fatto che lei sia insignito del Premio intitolato a lui lo conferma. È stata una cinematografia, quella del regista bergamasco, cui hai guardato per la creazione delle sue opere?
Uno dei film che ho sempre amato, per come racconta la civiltà contadina, è L’albero degli zoccoli, che ho visto per la prima volta da ragazzo, in una versione in bergamasco con i sottotitoli: un’opera che mi è molto rimasta dentro. Quando poi ho cominciato ad appassionarmi di cinema ho conosciuto tutta l’opera di Olmi, per cui ho amato anche Il mestiere delle armi, ma anche Il posto, insomma parliamo di un grandissimo. Bisogna avere dei modelli e bisogna cercarsene altri quando ci si avvicina a questo mestiere, e se c’è una cosa che ho guardato di Olmi è stata la forza, la grandezza, dello sguardo che ha avuto nel rappresentare gli umili, con grande rispetto: mi sarebbe piaciuto, un giorno, raggiungere quella pulizia di sguardo, che traspira da tutte le sue opere. Credo che lui, e per altri versi anche De Seta, che ha raccontato molto la mia terra, siano stati dei modelli. Poi mi è capitato casualmente, anni fa, in occasione del mio primo film, di incontrarlo in un festival sardo di letteratura: era un grande affabulatore, oltre che un grande cineasta, e ricordo la semplicità disarmante con cui affrontava questioni altissime arrivando a tutti. Sono contentissimo di questo Premio, mi fa piacere che, in qualche misura, seppur da lontano, il mio Assandira sia stato accostato alla sua opera.
Come Olmi, anche il suo cinema spesso fa del territorio uno dei protagonisti, al pari degli attori in carne ed ossa. La sua Sardegna eccelle in questo senso: che ‘attrice’ è la sua terra, quali talenti ha per il cinema, quali stimoli è capace di offrire per un racconto da grande schermo, quanto è versatile e quanto ancora c’è dell’Isola che vorrebbe raccontare?
La Sardegna, tra le varie aree geografiche dell’Italia, è forse una delle meno raccontate dal cinema, perché rispetto ad altri luoghi la si è narrata poco, e all’inizio l’hanno saputa raccontare meglio quelli che venivano da fuori. Da una quindicina d’anni a questa parte c’è una generazione di registi che ha cominciato a raccontarla dall’interno, anche con risultati molto interessanti: c’è ancora tutto un mondo da scoprire, oltre ad una letteratura originale che può essere portata sullo schermo. Credo che la possibilità di portarla al cinema dipenda dalla capacità di guardarla, senza alcuna convenienza, di raccontarla senza filtri: spesso si racconta la periferia dell’Italia perché si fa un’azione di supporto persino produttivo, e a volte questo supporto può apparire come una convenienza, un calcolo, però se si va oltre e si intercetta, si conosce, questo mondo credo abbia un potenziale nascosto, di storie e personaggi ancora da raccontare.
Infatti, un elemento ricorrente del suo cinema è la letteratura cui ha accennato: per Sonetàula ha adattato il romanzo di Giuseppe Fiori, per Bellas Mariposas il racconto di Sergio Atzeni, come per Assandira il romanzo di Giulio Angioni: qual è il suo rapporto con la letteratura e perché la reputa un valore aggiunto per il suo cinema?
Intanto la letteratura è un serbatoio di trame, dove chi è a caccia di un racconto sullo schermo ha tutta la convenienza di trovare storie e personaggi: spesso il cinema usa questo vantaggio, un vantaggio apparente perché il cinema e la letteratura sono due mondi molto differenti, perché quello che può sembrare il vantaggio iniziale può essere poi una trappola, che non permette di superare la dimensione del libro, senza riuscire magari a proporre una chiave che vada oltre una sequela di cartoline; ho pensato sempre che le storie che ho scelto gridassero per essere raccontate e quando le ho incrociate ho fatto in modo che diventassero dei film. I tre esempi che ha citato li considero molto alti, ma ce ne sono tanti altri: attingere alla letteratura non è però la sola via possibile, chi ha modo di elaborare soggetti originali e lo fa perché è la propria natura va ugualmente guardato con assoluto rispetto. Io ho fatto un percorso che partiva dalla Sardegna più tradizionale, quasi esotica, che è il mondo che ho raccontato in Sonetàula: ho provato poi a raccontare la parte più urbana, che c’è nel racconto di Atzeni, e l’ultimo film, Assandira, è un pò la sintesi, c’è il racconto di un mondo in cui la tradizione confligge con la modernità, collisione che può portare anche al dramma, come succede.
Assandira, il suo ultimo film, comincia duro e puro e poi costruisce un gioco al massacro per il protagonista, Costantino: questo è il passato recente e il presente del suo fare cinema. Ha in mente o già in lavorazione un prossimo progetto?
Ci sto lavorando, ma è prematuro parlarne: è ancora una volta un racconto sardo che parte da un libro, credo meraviglioso, ma che adesso non posso indicare: ogni volta che fai un film sembra che tu ti debba guadagnare quello successivo, senza sbagliarlo perché se no devi cominciare da capo, quindi ci sto lavorando e auspico che non passino altri otto anni!
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