Non è né un sequel né un prequel de Il primo Re la serie originale in dieci episodi Romulus, trasmessa dal 6 novembre su Sky e presentata in anteprima alla Festa di Roma, dove sono stati proiettati i primi due episodi come evento speciale. La narrazione segue gli eventi che portarono alla nascita di Roma, con un maestoso affresco epico, ma questa volta al centro della vicenda non c’è la leggenda di Romolo e Remo ma la mitogenesi e le vicende che hanno portato alla nascita delle relazioni sociali e del mito che ne deriva. “L’idea della serie nasce ancora prima del film Il primo Re, nel momento stesso in cui ho approcciato una materia estesa come quella legata alla fondazione di Roma”, racconta Matteo Rovere che ha creato, diretto e prodotto la serie e che questa volta è affiancato alla regia da Michele Alhaique ed Enrico Maria Artale. “Nel Primo Re ho raccontato la leggenda di Romolo e Remo come se fosse vera, l’idea era mettere in scena la leggenda, con un nucleo tematico molto più stretto. Qui ci siamo immaginati, al contrario, la genesi di questa leggenda. Posto che a livello storico non si ha nessuna informazione condivisa e ci sono varie scuole di pensiero archeologiche a proposito, la grande sfida era proprio quella di esplorare il racconto e la nascita della politica e delle relazioni tra gli individui. Creare uno show accattivante per gli spettatori e allo stesso tempo proporre uno spettacolo nuovo per il nostro panorama audiovisivo”.
Rispetto al lavoro di co-regia, Rovere sottolinea come la serie sia stata accompagnata da diverse sensibilità ma con un unico obiettivo: “Credo che allo spettatore di questo tipo di prodotto piaccia vedere un racconto coeso, scorgere l’obiettivo comune portato avanti nei vari episodi. Questa è una serie che sarebbe impossibile girare da soli, pure per la mole di lavoro legata alla stagionalità: in inverno, ad esempio, con tutti i personaggi in costume sarebbe stato molto difficile girare”.
Romulus è un racconto di guerra, di fratellanza, di passione, di coraggio e paura, realizzato con un grande impianto scenico e una ricostruzione realistica rispetto agli elementi plastici messi in scena, ricostruiti sulla base di ricerche storiche documentate che hanno portato a una meticolosa riedificazione di due intere città, alla riproduzione di centinaia di armi, di capanne e di migliaia di costumi, mentre, come precisa il regista, è molto libera e fantasiosa rispetto al rapporto con il mito, “che di fatto è una favola e in quanto tale va verso l’immaginazione e l’emotività dello spettatore”.
Come già il kolossal Il primo Re la serie è recitata in protolatino: una ricostruzione, fatta insieme a un gruppo di semiologi, della lingua latina arcaica da cui si ritiene abbiano poi avuto origine successivamente le lingue latine. Tra gli attori che rappresentano i personaggi principali motore della vicenda, Marianna Fontana (Indivisibili), giovane vestale che sorveglia il fuoco rinchiusa nel tempio, racconta la sua esperienza con questa nuova lingua: “Mi sono divertita con il protolatino, una lingua così viscerale e musicale che mi ha aiutato ad entrare in questo modo lontano ma, in qualche modo, anche vicino a noi”. Un personaggio femminile, il suo, che si muove in un mondo di uomini, primitivo, selvaggio, ferino, governato dalla natura e soggiogato al volere degli dèi. Che prova a lungo un amore proibito e iniza a combattere per divenire artefice del suo destino. “L’esperienza sul set è stata una sfida totalizzante – aggiunge – con tante sfumature. Il mio personaggio è interessante per la sua fragilità che unisce a una grande forza interiore”.
Nel cast anche Francesco Di Napoli (La paranza dei bambini) nei panni di uno schiavo orfano, l’ultimo degli ultimi, che parte per i boschi per il rito d’iniziazione che tutti i ragazzi della città devono compiere per diventare uomini. L’incontro con Yemos (Andrea Arcangeli) segna per lui il passaggio dalla solitudine alla fratellanza. Impara a fidarsi, a volere il bene di qualcun altro al di fuori di sé. Scopre in se stesso una forza e una sicurezza che non avrebbe mai sospettato. “Stare sul set è stato come fare un tuffo nel passato, la ricostruzione meticolosa aiuta ad immedesimarsi – dice – Il mio personaggio parte come uno schiavo insicuro e man mano trova la sua sicurezza, un po’ come è successo a me sul set, all’inizio ero terrorizzato”.
Rispetto alle possibili critiche del poter essere un prodotto rivolto essenzialmente ad un pubblico maschile, interviene per Sky Nicola Maccanico: “E’ vero che Romulus nasce rivolta a un pubblico maschile, ma, per la nostra esperienza, le serie che hanno successo non sono quelle che non hanno un target preciso ma quelle che riescono a coinvolgere anche i pubblici secondari. Questa serie è molto più e molto altro che sole battaglie, pensiamo possa interessare tutti e vediamo con ottimismo anche un futuro internazionale”.
In contemporanea con la messa in onda escono Romulus: il sangue della lupa e Romulus: la regina delle battaglie, i primi due volumi della trilogia di romanzi scritta da Luca Azzolini e pubblicata da HarperCollin che allarga l’universo narrativo della serie, indagando e raccontando gli antefatti, i personaggi minori, la geografia, esplorando gli aspetti che nella serie, per esigenze televisive, sono stati trattati più velocemente.
In onda dal 17 novembre su Fox Nation. Il regista, 81enne, è anche voce narrante degli episodi che racconteranno le gesta di San Giovanni Battista, San Sebastiano, Giovanna d’Arco, Padre Massimiliano Kolbe e molti altri
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