TORINO – La cerimonia di apertura della 41ma edizione del TFF ha debuttato con la madrina Catrinel Marlon che ha omaggiato apertamente Giulia Cecchettin.
Dopo che Vittorio Sgarbi, sottosegretario di Stato alla Cultura, ha evocato Pupi Avati, anche autore di Tutto mi parla di lei, film sulla sua famiglia, la cerimonia a questo punto viaggia sulle onde dell’on air, rinnovando la formula dello scorso anno, ovvero la presente edizione del TFF ha aperto con una diretta radiofonica, quella dello storico programma “Hollywood Party” – Rai Radio 3 (nato proprio a Torino, nel ’94), con ospite d’onore il maestro bolognese.
Con lui sul palco radiofonico due suoi attori simbolo: Micaela Ramazzotti e Neri Marcorè, insieme al fratello Antonio Avati.
Apre le danze Neri Marcorè imitando il dialogo tra Pupi e Antonio in occasione del film Il cuore altrove, quando l’attore era stato scelto come protagonista. Sotto lo sguardo sornione di Avati, che approva divertito, e lo ricorda “inadeguato”, procede la diretta radiofonica, che permette di ascoltare anche un brano da La seconda notte di nozze, che la platea alla Reggia di Venaria ha anche l’opportunità di guardar scorrere sul grande schermo.
Avati entra e esce dal dialogo radiofonico, con un’aneddotica spassosa e pungente, suo marchio di fabbrica: è così che ricorda quando “scelse” Katia Ricciarelli per il ruolo della vedova del film appena evocato, un nome “scelto” dopo che lo stesso Pupi aveva deglutito un sorso troppo forte di vino dei Castelli romani, la cui intensità aveva fatto emettere al Maestro un rumore gutturale che sembrava suonare “Katia”: subito questa apparente idea viene accolta come geniale dal fratello, e dal resto del cast, e Avati – che della Ricciarelli sapeva solo aver sposato Pippo Baudo – lo definisce “un esperimento straordinario, che le ha permesso di vincere un Nastro d’argento“.
Il racconto passa poi per Ramazzotti, che ricorda di essere stata scoperta dai fratelli Avati (e non da Paolo Virzì, come leggenda narra), e di quando al Teatro 7 di Cinecittà girò con loro, dapprima per una piccola parte ne La via degli angeli: “…poi Pupi mi chiamò, mi offrì una tazza di tè, mi mise in mano un copione e mi disse di leggerlo subito; così ho fatto un film meraviglioso, ironico: Il cuore grande delle ragazze“.
Parlando di Ramazzotti, Avati ricorda la “generosità dell’appropriazione di un personaggio” da parte dell’attrice, in particolare nella serie tv Un matrimonio, per cui il regista confida di aver pianto nel girare un intero piano sequenza, commosso dall’intensità della sua prova attoriale.
Tra le parole e i ricordi, Steve Della Casa sfodera una chicca preziosa dalle Teche Rai, un filmato d’archivio di quando Pupi suonava il clarinetto con la sua Jazz Band, occasione per parlare e ricordare l’amico Lucio Dalla: “…dopo il secondo dopoguerra, per ragioni diverse, eravamo tutti orrendi, la mia terza liceo pareva la Famiglia Addams! Ecco, questi mostri maschi, quando conoscevano una ragazza bella provavano a conquistarla: certamente, uno con un clarinetto al collo suscitava attenzioni, quelle che io attendevo da tempo! Finché non è entrato in queste band – un po’ per pena, perché era basso, era grasso, un ragazzino senza papà – Lucio. Era apparentemente innocuo e apparentemente negato: siamo andati in giro per l’Europa, dormendo anche nella stessa stanza. Una sera a Francoforte, una delle peggiori della mia vita, lui fa un assolo: io ho sperato avesse una salute cagionevole e invece non è morto e ogni sera suonava e sempre meglio perché era dotato di una cosa di cui io non ero dotato, il talento, non solo musicale; aveva la grazia, la radice di un mondo proprio di esseri misteriosi. Il confronto fu tale che io, con un dolore immenso, dissi: ‘smetto di suonare’, e nessuno della band disse ‘no’, nessuno”. Antonio continua raccontando che a quel punto suo fratello voleva fare la persona normale ma… poi incontra il cinema e così comincia la sua carriera.
Della Casa fa promemoria sul presente di Pupi Avati, che sta girando un thriller gotico, tra l’America e l’Italia, per cui in diretta radiofonica arriva il saluto di un altro scoperto dal regista: Lodo Guenzi, “un colpo di fulmine” per il regista.
È il momento di “premiare” Pupi Avati, così torna sul palco il sottosegretario Sgarbi per onorarlo per “una carriera che non è una carriera, ma una poesia. È sempre stato un regista di fondamentali principi cristiani e ha in sé la forza del senso di un amore per una donna, che dà senso alla vita”. Avati si alza e abbracciando Sgarbi ricorda “la libertà” di aver potuto fare un film sui suoi genitori ma… la macchina dello spettacolo detta legge e all’improvviso parte la sigla di testa del programma radiodonico e così, allegramente, sfumano i saluti di coda, si chiude la cerimonia di apertura e apre ufficialmente la 41ma edizione del Torino Film Festival.
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