Puccioni e gli africani di Roma


VENEZIA – In concorso in Orizzonti Il colore delle parole di Marco Simon Piccioni è l’unico documentario italiano in competizione nelle varie sezioni alla Mostra del Cinema e racconta la condizione degli africani a Roma, tra integrazione, importanza delle radici culturali e lotte per i diritti civili. “Da Intolerance a Riparo ho sempre cercato di avere uno sguardo sull’altro, su altre culture, sul rapporto tra le varie identità e questa volta ho scelto di raccontare le storie di quattro amici – intellettuali, musicisti, mediatori culturali e scrittori africani – che da anni si battono a favore dei diritti degli immigrati nel nostro Paese, ma anche per far conoscere la loro cultura agli italiani”, spiega Puccioni, specificando che si tratta di persone tutte molto radicate e compenetrate nella vita italiana, arrivate da noi negli anni ’70 poco più che ventenni e oggi ultracinquantenni. Il primo africano a cui il regista si è interessato e incuriosito è Teodoro Ndjock Nghana, un cittadino del Camerun di 57 anni dal 1974 a Roma, dove ha studiato chimica farmaceutica, si è sposato, ha avuto una figlia, si è scoperto scrittore, è diventato poeta e animatore culturale. Esperto di storia e culture africane orali e scritte, ha svolto attività nelle scuole dove faceva il narratore di favole e racconti della tradizione africana e in particolare della sua etnia Bazaa, collaborando attivamente con Don Luigi Di Liegro e la Caritas ed è stato molto attivo nell’organizzazione della diaspora. “Accanto a lui raccontiamo altri suoi amici africani arrivati a Roma per motivi di studio (a volte sponsorizzati da grandi industrie italiane tipo l’Eni, che cercavano di formare dei “quadri” nel loro paese d’origine): alcuni si laureavano e altri no, ma alla fine restavano qui, molti di loro si sono sposati con donne italiane e la cosa paradossale è che oggi sono padri di cittadini italiani ma senza esserlo a loro volta”, prosegue il regista facendo notare ad esempio che “uno degli intervistati, Steve Emejru, di origine nigeriana, in Italia dal 1982, laureato in legge, ambasciatore della Cultura nigeriana in Italia, mediatore culturale, maestro di danza africana e scenografo, ha un figlio di 21 anni, Frederic, cittadino italiano che gioca in serie A nel campionato di basket italiano”.

Per quanto riguarda gli altri due protagonisti: Justin Mvondo, di origine camerunese, ha studiato architettura in Italia dove risiede da più di 30 anni, lavora come sindacalista nel settore edile della UIL ed è molto attivo nella leadership della sua comunità, mentre Kongo Martin, di origine congolese, è in Italia da oltre 30 anni, ha studiato ingegneria a Roma, è attivo nella promozione della sua cultura di origine e sostiene lo sviluppo dei paesi africani attraverso progetti del commercio equo e solidale.

 

Il documentario racconta le loro vicende umane, la loro vita di studenti impegnati nello sport, nella creazione di gruppi musicali, nei movimenti politici e nelle associazioni, nell’attività nelle scuole: la scuola è stata l’istituzione italiana che per prima si è aperta alla multiculturalità e all’intercultura aprendo le porte agli africani che facevano conoscere tradizioni, arte e cibo ai bambini che si abituavano ad essere a loro agio con la presenza degli stranieri. “Quello che ci interessava mettere in luce”, dice ancora Puccioni, ” è la differenza tra gli anni ’70, in cui i nostri quattro protagonisti sono arrivati in Italia ed erano studenti come altri, vivevano un’altra epoca di libertà e di internazionalismo, nessuno guardava il colore della pelle degli altri – e gli anni più recenti in cui sono state affibbiate loro una serie di etichette che li hanno fatti diventare a poco a poco ‘vu cumprà’ , ‘extracomunitari’, ‘immigrati’ Col tempo la migrazione ha assunto dimensioni bibliche e sono arrivate la legge Martelli, la Turco-Napolitano del ’98, la Bossi-Fini, c’è stato un graduale cambiamento degli italiani, un atteggiamento di maggior chiusura e diffidenza verso lo straniero, paradossale perché è nato proprio mentre la presenza degli extracomunitari diventava costitutiva nella società italiana (oggi sono circa 4 milioni)… Quello dell’integrazione è un quadro di luci e ombre con segnali inquietanti che vengono dalle leggi recenti che sembrano mettere in pericolo la sicurezza di molti cittadini di origine straniera. Poi il documentario è anche altro, non c’è solo l’aspetto sociale e politico ma anche vicenda umana e personale di persone che sono arrivate qui oltre 30 anni fa, si sono ambientate e vivono il disagio di dover convivere con due matrici culturali, quella d’origine e quella acquisita, facendo una personale sintesi e dando vita ad una sorta di ibrido che crea comunque qualcosa di innovativo”, sottolinea l’autore.

“Abbiamo intervistato tra gli altri il professor Armando Unisci, docente di Letterature comparate a Roma, che ha creato un database in cui ha catalogato circa 350 stranieri che pubblicano testi in italiano: è la conferma di un apporto importante alla cultura italiana che viene vivificata da queste contaminazioni di tradizione orale adattate alla scrittura. Tutto questo è un arricchimento, basta vedere come i nostri protagonisti parlano e come raccontano la loro esperienza umana per capire che rappresentano una ricchezza per l’Italia e non un pericolo, sono portatori di un dialogo che vivifica e rinnova la cultura italiana. Si considerano nostri connazionali anche se non si sentono accettati completamente, la maggioranza del Paese che li ospita è oggi contraria all’integrazione e l’Italia costituisce un caso a sé in Europa per le politiche del governo. Il senso de Il colore delle parole è invece quello di invitare italiani e europei ad essere più sereni e soddisfatti dell’inevitabile trasformazione multietnica e multiculturale delle proprie società”.

autore
02 Settembre 2009

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