Piera Degli Esposti: la signora Enea, custode del “Divo”


Ne parla con l’entusiasmo di una bambina e la spudoratezza di un’adolescente: la sua Lettera d’amore a Robert Mitchum, una lettera per anni tenuta segreta, non spedita neppure a chi doveva riceverla, è ormai di tutti e Piera Degli Esposti vorrebbe che lo fosse ancora di più. Un’infatuazione che diventa amore di una vita. Fedeltà al sogno travasata in una videolettera grazie a Francesco Vaccaro e alla seducente tessitura di immagini in bianco e nero del divo americano a torso nudo, di lei che si dichiara in primissimo piano, dell’incontro tra i due, che finalmente c’è stato, propiziato da un invito a cena a casa di Lina Wertmüller. Un corto che ha emozionato molti spettatori – soprattutto donne – e che in questi giorni è al cinema, grazie alla Lucky Red, subito prima del film brasiliano L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza. Ma l’avventura della lettera non finisce qui, spera Piera. Ed è proprio come vuole lei: mentre chiacchieriamo una telefonata di Vaccaro le annuncia che il film andrà al NICE, a New York. E chissà quanti altri festival verranno, dopo l’anteprima alla Festa di Roma.

 

C’è un’energia incredibile in questa storia che rovescia il rapporto di sguardi tra il maschile e il femminile perché Piera si fa soggetto del desiderio, guarda e descrive il corpo maschile. Da quando aveva 14 anni fantastica su quel “corpo erotico che si gonfiava sotto le camicie militari” e scandalizzava Hollywood. Lei, attrice intellettuale e simbolo delle avanguardie, non ha mai avuto paura di mettersi in gioco. Come quando affidò le sue sofferte storie d’infanzia a Marco Ferreri e divenne “figlia” di Marcello Mastroianni e Hanna Schygulla. Da sempre in palcoscenico, da qualche anno sta dando tantissimo al cinema con film come L’ora di religione di Bellocchio, La sconosciuta di Tornatore, “dove mi sono lasciata ridurre quasi a un vegetale dall’invecchiamento”, Il Divo. Ha appena vinto un Ciak alla carriera e adesso lavora più che mai. Ha girato con Maria Sole Tognazzi L’uomo che ama, dove è la mamma di Pierfrancesco Favino (“che emozione essere diretta dalla figlia, ero stata la moglie di Ugo in Scherzo di Lina Wertmüller”), sta lavorando con Riccardo Milani alla fiction tv Questo è amore, “dove faccio un’avvocata terribile, alla Crudelia Demon” e con un giovane allievo di Bellocchio, Giorgio Arcelli, ha girato Principessa, nel ruolo di un’aristocratica. Ma più di tutto le sta a cuore la sua Lettera d’amore.

Che cosa sta accadendo con questo corto diventato un caso?
Ricevo tantissime confidenze: signore borghesi e insospettabili mi rivelano che anche loro sono innamorate da sempre di un uomo, benché sposate: “Adesso gli scriverò anch’io come ha fatto lei”, mi sussurrano. Insomma il film libera energie femminili. E voglio ringraziare i sognatori della Lucky Red per avermi aiutato a portarlo in sala.

Un sogno che si è realizzato dopo tanti anni. Ma non ha mai avuto la tentazione di tradirlo?
No, e ho conosciuto tanti attori, americani e italiani, che non erano da buttare via, uomini come Volontè o Mastroianni. Tante volte avrei potuto sostituirlo, ma sono rimasta fedele a Robert, che avevo visto in Promontorio della paura da ragazzina. Già allora non mi rassegnavo al fatto che qualcuna gli preferisse Gregory Peck.

La lettera però la scrisse più tardi.
A quarant’anni e senza spedirla. Sperai sempre di incontrarlo e per tre o quattro volte l’ho sfiorato. Quando è venuto in Italia per girare Lo sbarco di Anzio mi sono presentata per fare un provino per il ruolo dell’infermiera, ma non mi hanno preso perché non avevo una faccia italiana… e dire che avrei accettato anche di fare la comparsa! Una volta mi volevano dare un premio a Bastia, in Corsica, ma non andai perché stavo male e poi scoprii che avevano premiato anche lui. Finché un venerdì sera non mi arrivò un biglietto in camerino: “Lunedì cenerai con Robert Mitchum”.

Sembrava uno scherzo…
Lo pensai anch’io, anche perché ormai questo mio innamoramento era diventato una favola nel nostro ambiente. Invece era tutto vero, una cena organizzata da Lina Wertmüller. Ho passato tre giorni con la testa dentro l’armadio a prepararmi e finalmente l’ho visto. Un pezzo di Marc’antonio! Mi fece anche sedere sulle sue ginocchia e ci saremmo incontrati di nuovo, ma si è ammalato di lì a poco ed è morto. Però il sogno si era ormai realizzato e in questo c’è qualcosa di onnipotente. È stato mio e oggi le sue foto fanno parte delle mie foto di famiglia. Proprio vedendole Francesco Vaccaro ha avuto l’idea del cortometraggio.

C’è qualcosa di mitologico anche nel personaggio della signora Enea, la segretaria di Giulio Andreotti nel film di Paolo Sorrentino.
Per me è una custode, e in lei c’è qualcosa di antico. È una donna che poteva stare in certo cinema in bianco e nero, che fa tenerezza e nostalgia. Forse era innamorata di lui? È possibile. Certo la sua vita era lì, accanto al re. Mai una parola di troppo. Molti che stanno accanto ai potenti, poi a un certo punto tradiscono, scrivono libri o danno interviste, rivelano segreti. Lei gli è stata vicina per quarant’anni in assoluta intimità, tanto da permettersi una frase come “stia dritto”, che esprime anche un senso di possesso. Mai un dubbio l’ha sfiorata.

Come ha costruito il personaggio di questa donna che tutti chiamano solo per cognome, Signora Enea, e di cui si sa pochissimo?
Si chiamava Vincenza, ma nessuno usava mai il suo nome. Ho chiesto a chi l’aveva conosciuta, Aldo Tortorella per esempio. Sanguineti mi ha aiutato a rivedere qualche piccola intervista. Mi ha scritto anche suo figlio, che poi non ho incontrato, e la primogenita di Andreotti mi ha sconsigliato: “sei poco adatta, sei troppo sofisticata”. Di lei non si sapeva niente e tutti mi dicevano che era una persona fisicamente anonima. Mi sono affidata a Sorrentino che non voleva tanto la verità dei personaggi, quanto una sua verità, così mi sono lasciata indagare, scarnificare dal suo occhio. E sono sorpresa del risultato: un attore che riceve così tanti consensi, prova un grande appagamento.

Come vede Giulio Andreotti?
Come un enigma. Non ha niente di solenne o di austero, è un uomo quotidiano eppure insondabile che io paragono alla ‘Settimana Enigmistica’, un giornaletto sempre uguale, mai sopra le righe eppure pieno di rebus e ricco di nozioni.   

19 Giugno 2008

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