Francesco è Elia, protagonista di Skam 5.
20 maggio 1996 la sua data di nascita, 27 anni e un debutto in prima linea nella serialità italiana, volano poi per approdare anche a Gli anni più belli di Gabriele Muccino o a Il metodo Fenoglio con Alessio Boni: lui è Francesco Centorame, vincitore del Premio Meno di Trenta – Serie Tv secondo la Giuria Stampa (leggi la news), ex aequo con Nicolò Galasso.
Nella IV edizione della manifestazione che nasce e dedica il proprio focus a intercettare e valorizzare gli artisti under 30 che stanno debuttando o facendo i loro primi passi tra grande e piccolo schermo, Francesco Centorame – con Nicolò Galasso appunto e Greta Gasbarri, lei premio Meno di Trenta – Cinema – emerge come interprete padrone di un animo sensibile e con una maturità personale e professionale indubbiamente più adulta della sua età anagrafica.
Francesco, il tuo debutto assoluto sullo schermo è stato con Maggie & Bianca: Fashion Friends: quando e come arriva l’arte della recitazione nella tua vita, e cosa dell’interpretazione cinematografica/seriale hai compreso appartenere alle tue corde?
Sì, il primo approccio, tramite una scuola che frequentavo a Pescara, è stato con quella serie. Comunque, a 13 anni ho cominciato a soffrire di attacchi di panico e depressione, ho avuto un periodo molto molto particolare della mia vita, e ho iniziato una fase di psicoterapia a cui è seguita la teatro terapia, e lì ho cominciato a capire che potessi sentirmi vivo e esprimere tutte le parti di me, che non fossi una sola cosa ma tante, e che il costringermi a essere solo una cosa mi faceva stare veramente male. Quindi, mi sono dato la possibilità di esplorare tutti i lati dell’essere umano, dei comportamenti, e di andare ad analizzarli e scoprirli sempre più in profondità, così ho capito che avrei dovuto fare questo lavoro: ciò che m’interessa in questa vita è proprio capire come funzioniamo noi esseri umani.
Dopo un’opportunità importante come Skam, di visibilità popolare, tu da interprete under 30 come stai lavorando sulla tua formazione, per cercare di tenere alta l’asticella e non rischiare di essere ricordato solo per un progetto?
Dopo Skam ho partecipato a due serie e tre film, che usciranno tra ottobre e novembre: tra cui sicuramente Il metodo Fenoglio. Cerco di continuare a lavorare scegliendo sempre qualcosa che abbia a che fare con un racconto utile alla scoperta dell’uomo, e poi continuo a formarmi, facendo, appena posso, workshop intensivi, come con Vinicio Marchioni, Alessio Boni, Marcello Prayer che studia il Metodo di Orazio Costa: la formazione m’interessa molto più del successo.
Parliamo di talento: non tutte le persone che recitano lo possiedono, possono essere ben dirette e funzionare ma il talento è una virtù innata, da coltivare, ma che nessuno ti insegna. Tu hai compreso cosa significhi ‘avere la stoffa’, cosa sia ‘il talento’ appunto?
Il concetto di talento mi piace molto e credo che nel nostro lavoro sia quella cosa che fa la differenza tra un bravo attore e una persona che ama quello che fa. Talento secondo me vuol dire avere la capacità di imparare più cose possibili nel minor tempo, cioè essere pronti a evolvere: tu puoi avere un’ottima tecnica, ma se non ti metti in discussione a livello emotivo magari non riesci ad andare oltre e a far arrivare un’emozione; viceversa, puoi essere una persona che recita con la pancia ma se non hai il talento di imparare le tecniche, quindi di evolvere, rimani fermo a un punto. Il talento è quella cosa che fa sì che tu possa arrivare realmente a migliorarti quotidianamente.
Essere destinatario di un premio, sempre nell’ottica dell’essere ‘un debuttante’, che valore pensi possa avere per la carriera? Per te personalmente ma anche per chi ti osserva, chi ti dovrà scegliere per prossimi progetti.
Un’ottima domanda: a titolo personale, un riconoscimento fa sempre piacere, soprattutto quando fai questo mestiere in cui vieni riconosciuto solo quando lo fai, appunto, non quando lo sei; la prima domanda che ti viene fatta è: ‘cosa hai fatto? Dove ti ho visto?’, non ‘come ti sei formato? Che studi hai fatto?’. Quindi, il riconoscimento, dal punto di vista di personale, fa molto, molto piacere, anche perché – in questo caso – quello della Stampa ha davvero un valore, almeno personalmente: il pubblico, soprattutto di questi tempi, segue un po’ la direzione della massa, per cui dopo tanti premi dal pubblico, ho apprezzato che votasse chi lo fa con una specifica consapevolezza rispetto al mestiere che giudica. Dal punto di vista della carriera, sicuramente un riconoscimento per qualcuno vorrà dire qualcosa, per altri magari no: personalmente mi sento ancora in una fase di semina totale, in cui cerco di centellinare i progetti, sempre per seguire un percorso che faccio per passione, perché vedo che c’è un inseguimento del successo che dilaga; mi sento un po’ in calderone, forse tra una decina d’anni riuscirò a dire che sono soddisfatto del mio percorso, e spero di rimanere in questa ‘fase’ il più a lungo possibile, perché quando leggo di miei coetanei super elogiati penso sarebbe più saggio aspettare un attimo… Non ho fretta di accettare qualsiasi cosa, pur di non sparire; guardo avanti in maniera molto molto lontana.
Nel tuo mestiere applichi o studi un ‘metodo’ di recitazione? Hai una tecnica? Oppure sei un attore ‘di pancia’?
Nella mia formazione ho sperimentato un po’ tutti i metodi, dopodiché sono arrivato appunto a quello di Orazio Costa, della mimesis, che è stato lo stesso di Favino, mio grande maestro, ma anche di Alessio Boni e Prayer, che fondamentalmente, in maniera diversa da quelli più pratici, ti insegna l’amore per questo lavoro, il fatto che attraverso il tuo corpo racconti poesie, storie, ma usandolo tutto, il corpo. Il mio metodo quindi è partire dalla mimesis per diventare quello che racconto, adattandomi di progetto in progetto. Faccio un esempio: sto finendo un’opera prima molto interessante, per cui non abbiamo fatto preparazione, ma l’approccio è stata la scoperta, per il regista, per me che interpreto, mentre nei prossimi giorni comincio una serie di Susanna Nicchiarelli e per questa abbiamo lavorato prima e sappiamo esattamente in che direzione andare.
È efficace, per un attore in crescita, avere delle figure attoriali d’ispirazione professionale, oppure è più saggio guardarle per ammirazione ma poi concentrarsi sulla propria individualità?
Personalmente, la figura dei Maestri m’è sempre piaciuta molto: ho avuto la fortuna di lavorare con grandissimi amanti di questo lavoro, persone che amano il mestiere, e quindi forse più che seguire delle orme, ho seguito dei pensieri, imparando a capire cosa significhi questo lavoro al di là del successo, capire che si tratti proprio di una disciplina dell’anima. Così è come avere delle mappe-guida, io li chiamo ‘i miei fari’.
Mentre, da spettatore, cosa guardi con più piacere e curiosità? E ricordi il primo film visto al cinema e/o il primo film che ti ha segnato nell’idea di far l’attore?
Non c’è stato un film che mi abbia suggerito il mestiere, anche perché prima avrei voluto giocare a calcio. Il primo film che invece ricordo di aver visto è stato Shrek, che mi ha segnato totalmente, e in più, avendo un figlio di tre anni, negli ultimi due, da quando abbiamo iniziato a sperimentare la tv e il cinema, guardiamo molto Peter Pan, Pinocchio, e Shrek sicuramente. Essendo molto in giro per lavoro, appena torno a casa sto con lui e quindi guardo praticamente solo queste cose ma, concentrandomi personalmente molto sulla formazione, guardando per esempio la figura di Geppetto in Pinocchio mi permette di analizzare e rianalizzare i cartoni, che sono meravigliosi perché sotto la superficie c’è uno spessore molto interessante.
Il ‘genere’, che ha avuto grandi stagioni nel nostro cinema, sta riprendendo un po’ piede: cosa ne pensi dell’opportunità di potersi sperimentare in un film di genere, e in quale ti piacerebbe misurati?
Il giallo mi piace tantissimo, ancora non mi è capitato al cinema, a teatro sì. Penso anche a tutto il lavoro fatto da Gian Maria Volonté, ecco quel genere lì mi piacerebbe molto. È un racconto diverso del corpo, in perenne tensione: un po’ penso anche a L’ultima notte di Amore, una tensione fisica degli attori che tu spettatore senti addosso, più del dolore o dell’allegria. Sono felicissimo che, in una serie che sto per cominciare, avrò questa opportunità per il ruolo: m’interessa molto, mi stimola.
Il cinema italiano presente, che opportunità dà ad un giovane interprete, e quali difetti invece avverti, che potrebbero essere migliorati proprio per il futuro della generazione più recente?
Non credo di saperne così tanto da poter dare una risposta. L’unica cosa che farei maggiormente sarebbe investire nelle scuole, ma non solo quelle finalizzate al mestiere, piuttosto proprio nella scuola pubblica, cercando di far entrare lì dentro l’importanza del racconto audiovisivo, creando una base solida non che ti spinga – più che puoi – a cercare il successo a 20 anni, ma che già da 15 ti metta nelle condizioni di sapere che esistano dei ruoli, penso a un direttore della fotografia, allo scenografo, al regista, per far capire che il cinema non sia solo passare del tempo, ma proprio un modo di attraversare e scoprire più cose possibili attraverso gli esseri umani che siamo e che lo praticano.
Progetti per il futuro.
Proprio stasera, 14 giugno, sono al Piccolo di Milano per uno spettacolo scritto da Giorgio Gaber e Sandro Luporini, un inedito, perché purtroppo poi Gaber è mancato: s’intitola Quella volta lì avevo 25 anni. Come accennato, sicuramente nei prossimi mesi uscirà la serie Il metodo Fenoglio. Ci saranno due serie e due film in uscita entro il 2024 e che poi sarò ancora al Piccolo tra gennaio e febbraio prossimi, con Lino Guanciale, regia di Claudio Longhi, per Ho paura torero.
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