“Contro gli effetti speciali, noi ci occupiamo di effetti umani”. Con uno slogan Pasquale Squitieri condensa il senso de L’avvocato De Gregorio, il nuovo film da lui scritto e diretto, interamente girato a Napoli, con primo ciak il 2 aprile. Si tratta di un copione scritto da Squitieri 12 anni fa per Eduardo De Filippo e mai messo in scena. La pellicola è prodotta da Elide Melli per la Cosmopoli Corporation e ha ottenuto i finanziamenti dallo Stato come film di interesse culturale nazionale. Ancora una volta, dopo Li chiamavano briganti! (1999), il regista napoletano ha voluto accanto a sé Giorgio Albertazzi nel ruolo del protagonista, l’avvocato De Gregorio, e nel cast vi sono anche Gabriele Ferzetti e Anna Tognetti.
Una storia tutta napoletana?
E’ la vicenda di un vecchio lurido, quasi un barbone. Un vecchio avvocato che vive emarginato, senza curarsi di sé, ostile alla comunità civile, prigioniero di un risentimento antico nato da un’ingiustizia subita. Quella denuncia per truffa, quando inutilmente si procurò in modo illecito del denaro per salvare, nella Napoli del colera, il piccolo figlio ammalato, poi perduto. Finché il protagonista non incontra, per ragioni di lavoro, un giovane magistrato che non conosce le sue ragioni, forse le intuisce e gli tende una mano. Solo allora scopriremo che l’avvocato De Gregorio è un uomo bellissimo dentro, che riacquisterà, purificandosi, la dignità un tempo perduta.
Squitieri ottimista?
E’ il primo film non pessimista che realizzo nella mia carriera. Credo che oggi occorra avere una spinta di fiducia verso l’altro uomo, verso un futuro immediato. Non si può fare a meno dell’altro, consapevoli che ogni conquista di dignità ha un costo.
Il Meridione e gli avvocati, una materia narrativa obbligata?
Io racconto il mio Sud, quello che conosco meglio, nella sua storia, attualità e prospettiva. Che è poi il Sud del mondo che vive un’estrema emarginazione, una delle matrici dell’odio. Che cosa ci può allontanare di più da un sentimento così inumano e omicida come l’odio? Soltanto una forte e consapevole solidarietà.
Inoltre ho sempre pensato che per noi meridionali la giustizia e l’ingiustizia fossero al centro della vita del Sud. Del resto l’avvocato ha un ruolo straordinario nella società civile.
Che rapporto c’è con la cronaca?
Nessun legame, semmai in questa storia ci sono tutte le cronache possibili. Così come non c’è nulla di privato in questo film. L’avvocato De Gregorio è il simbolo del malessere che crea rancore, fino a cadere nel buio della ragione. Quel che avviene al mio personaggio accade a tanti altri anziani che in questa americanizzazione della società sono stati messi da parte.
Nel film quale Napoli vedremo?
Non c’è la commedia napoletana, non si ride. Per troppo tempo si è riso, ora la condizione è tragica. Non c’è niente di eduardiano. Forse c’è Raffaele Viviani, un autore teatrale fortemente drammatico. La sua Napoli somiglia alla Berlino di Bertolt Brecht, non è certo pulcinelliana. Il travestito, il poliziotto, la prostituta, nei testi di Viviani, sono personaggi drammatici. E poi Napoli è parte di un paese marlowiano, shakespeariano, nel quale non trovo più nulla di cui divertirsi. Noi continuiamo a ridere quando da tempo non dovremmo più farlo.
Perché ha scelto di lavorare con Giorgio Albertazzi?
Quale interprete migliore di questo personaggio, nel contempo abbietto e meraviglioso, se non Giorgio? La sua potenza è questa straordinaria fotogenia. Accanto ho voluto soprattutto volti, espressioni che ho trovato a teatro e fuori.
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