Dopo l’anteprima al Festival di Cannes 2024, Parthenope, il nuovo film di Paolo Sorrentino, arriva dal 24 ottobre in ben 500 sale italiane. Un battesimo del fuoco per Piper Film, alla sua prima grande distribuzione, che è iniziato nel migliore dei modi, con la brillante iniziativa delle proiezioni di mezzanotte pensata per avvicinare al film il pubblico più giovane. Con 15 sale al giorno, quasi sempre sold out, per un totale di oltre 18mila presenze, l’idea ha portato i suoi frutti, facendo capire come le nuove generazioni siano interessate a un cinema d’autore così ricercato.
“Uno ha sempre uno scetticismo nei confronti delle capacità di approfondire dei giovani, – dichiara Paolo Sorrentino – ma invece ho riscontrato una libertà nell’approcciare il film che francamente comincia a mancare quando si cresce un po’ di età. Senza pregiudizi, senza barriere filtrate dalla moda e dall’ideologia, mi sono sembrati molto liberi. Si sono lasciati andare alla possibilità di commuoversi e di ridere, che era quello che speravo. Gli spettatori adulti arrivano con un bagaglio di aspettative diverse. Alla fine, lo spettatore privo di ogni senso di colpa è lo spettatore migliore”.
Gli spettatori si troveranno di fronte a una storia raccontata con tutti gli stilemi del cinema sorrentiniano, ma con almeno una grossa novità: il punto di vista femminile, quello della protagonista Parthenope, incarnazione metaforica di Napoli, con tutta la sua bellezza e mistero, interpretata dalla giovane Celeste Dalla Porta. “Avevo fatto nove film con protagonisti maschili ed era ora di cambiare. – rivela il regista – Semplicemente una questione di noia. Joyce parlava dell’epica come di selvaggia vitalità, mi piace immaginare che si addica di più a una donna che a un uomo. L’autore non deve fare scoperte o trovare risposte, è deputato a porre delle nuove domande. Come ho delle nuove domande su Andreotti ora ho delle nuove domande sulle donne. Per me c’è un errore di fondo se lo spettatore si aspetta delle risposte da un film, in casi patologici, anche un messaggio, che è una deriva del nostro essere cattolici. L’unica missione di un film è alimentare nuove domande”.
Sono passati diversi mesi dalla prima anteprima, anni dall’inizio del progetto. Cosa gli resta di questo progetto così personale? “Mi resta una grande commozione nei confronti di un racconto che è apparentemente ambizioso ma che in realtà molto semplice. È un film sentimentale su quello che rappresentano le varie tappe della vita. La giovinezza è dove ci si abbandona, si tocca la vita e, se si è fortunati, si possono raggiungere non dei picchi di felicità, ma dei momenti estatici in cui, come diceva Penna, siamo più vivi che più vivi non si può. Poi c’è una tappa successiva, in cui la nostra protagonista attraverso un momento di responsabilità, che fa da contraltare a quello in cui ci sia abbandona. E poi si diventa adulti e si ha questa sottile, vaga sensazione che la vita ci stia abbandonando. Mentre da giovane la vita ti sembra di toccarla, da grandi provi a vederla e, come dice Stefania, è lei che non ti vede, che ti volta le spalle. Questo momento malinconico e pessimistico dell’età adulta viene smentito da questo sospiro finale che fa Stefania, davanti alla città di Napoli. È come se ci dicesse che il senso del film è molto semplice: la vita è andata così”.
“Non sono in grado di giudicarmi con quello che faccio, né con il cinema di oggi, perché ne vedo poco. – continua Sorrentino, facendo riferimento alle scelte che lo guidano da un progetto all’altro – Ognuno è condannato a fare quello che sente, per me non c’è altro modo di fare questo lavoro. Non potrei mai fare un film con un committente che mi dice: facciamo un thriller, facciamo un horror. Non sono proprio in grado di leggere i copioni e declinarli sotto forma di regia. Sono condannato a fare quello che sento e questa sentivo che era la storia che mi riguardava di più in quel momento”.
Per mesi, Parthenope è stato il film favorito per essere scelto come candidato italiano all’Oscar. Per Paolo Sorrentino sarebbe stata la terza volta, dopo la vittoria di La grande bellezza e la candidatura di È stata la mano di Dio. Quasi dal nulla, però, è arrivato il fenomeno Vermiglio, il delicato film di Maura Delpero, a sovvertire ogni pronostico. “Sono felicissimo che ci vada Vermiglio, che è un bel film. – ammette candidamente Sorrentino – Io l’ho già fatto due volte e francamente sono anche sollevato, perché è una roba molto faticosa e non avevo tanta voglia. È giusto che ci vada un film che ha vinto a Venezia: c’è un momento per tutto, è giusto che questo sia il momento di Vermiglio”.
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