Pannofino: “Lasciamo il doppiaggio ai professionisti. L’AI non ucciderà l’arte”

'Forrest Gump' compie 30 anni e torna sul grande schermo in piazza del Popolo a Pesaro. Presente per celebrare l'anniversario anche Francesco Pannofino, che nel 1994 diede voce e vita al Tom Hanks italiano


PESARO – “La vita è come una scatola di cioccolatini”, diceva Forrest Gump. Alla memoria, balza il faccione di Tom Hanks; netto, preciso in quel primo piano con cui Robert Zemeckis lo consegnò alla storia del cinema. Ma la voce, quella voce con cui sembra di riportare in vita il film anche solo leggendo una battuta, per noi, in Italia, ha un altro nome. Francesco Pannofino. “Mamma diceva sempre…”. Forrest Gump compie 30 anni e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro si festeggia con una proiezione in piazza del Popolo in compagnia di chi, tra se e se, per primo lesse quelle battute leggendarie, intravedendone il futuro successo. Nel 1994, Pannofino aveva 36 anni. La vita era davvero una scatola di cioccolatini, e il giovane attore – sognando il cinema e il teatro – iniziava con il doppiaggio. I primi passi di una carriera che lo vedrà solcare diversi palchi, senza però abbandonare mai la sala doppiaggio, dove da 30 anni è voce dei più grandi, da Denzel Washington George Clooney.

“Quell’anno vinsi due provini importanti: uno era Forrest Gump e l’altro I Flintstones” ci racconta l’attore. “Quando feci il provino per Forrest Gump mi dissero: ‘Non sei esattamente quello che cerchiamo però sei quello che si è avvicinato di più.’ Ho impiegato tutto il mese di luglio del 1994 per doppiare”.

All’epoca, Tom Hanks aveva un’altra voce italiana. Ma Forrest Gump non era un film qualsiasi, e serviva un altro stile. Hanks, in originale, si aggrappa all’accento dell’Alabama, da cui viene Forrest. “Adattato, però, è tutta un’altra storia” spiega Pannofino, narrando la nascita di quel parlato talmente strano da diventare, in Italia, elemento distintivo del personaggio.

“Hanks si attaccava all’accento. Se avessi avuto l’esperienza di adesso, l’avrei affrontato in modo diverso, ma comunque c’è stata molta cura. Gli incassi ci sono stati e le emozioni sono state restituite: quando c’era da ridere, si rideva, e quando c’era da piangere, si piangeva”. La conferma definitiva arrivò dall’alto, con il benestare del regista Robert Zemeckis che controllò personalmente le versioni europee del film. “Erano soddisfatti” ammette Pannofino, accennando agli ultimi anni in cui il doppiaggio rimase fedele alle proprie origini, prima di cambiare per sempre tra piattaforme streaming e AI.

Oggi i temi della categoria sono infatti molti, dal coinvolgimento in sala doppiaggio di talent e influencer da sbandierare sui manifesti dei film – speranza ultima del marketing localizzato –  all’avvento dell’Intelligenza Artificiale, passando per i ritmi accelerati imposti dalle necessità dello streaming.

“Io credo che questo lavoro lo debbano fare i professionisti, quelli che lo sanno fare” riflette Pannofino. “Ma sono leggi del mercato: chi produce e distribuisce i film immagina, o ha dei dati, per cui se il doppiaggio lo fa un TikToker con duecentomila follower, quei duecentomila andranno al cinema a vedere il film doppiato da lui. Io non credo sia così automatico”. E ancora: “Ho visto molti di questi talent o influencer in difficoltà, perché se non hai mai fatto il doppiaggio, quando vai in sala di doppiaggio ti trovi in difficoltà perché non è facile. Tutti pensano che sia facile, ma non è così”.

Diverso il tema tecnologico, dove è l’Intelligenza Artificiale a minare la stessa esistenza del doppiaggio così come lo si è inteso fino a ora. “Io non scommetterei sul doppiaggio” dichiara Pannofino rivolgendosi ai giovani. “Il progresso non si può fermare”, ma va senz’altro governato. Non è vero, come molti ribadiscono, che questa tecnologia sarà sempre imperfetta; che noi, persone, saremo sempre superiori. Ecco perché serve conoscere e governare il nuovo mezzo ormai alle porte dell’Industria dell’audiovisivo. Pannofino cita casi recenti, come quello di Scarlett Johansson, l’attrice hollywoodiana la cui voce sarebbe stata campionata dal chatbot di OpenAI senza il suo permesso. “Non è giusto usare una voce artificiale per fare pubblicità a un prodotto con la mia voce” sottolinea Pannofino. “La creatività non si può fermare: l’arte non finirà con l’intelligenza artificiale, sarebbe un disastro. È chiaro che qualsiasi innovazione impone anche dei sacrifici. Ci saranno lavori che scompariranno, ma altri ne verranno creati”.

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