Open Arms: alla Festa la storia dei volontari di Lesbo

La storia di Oscar Camps, fondatore di Open Arms, raccontata nel film di Marcel Barrena


Autunno 2015. Due bagnini catalani, Oscar e Gerard, arrivano a Lesbo dopo aver visto la fotografia straziante di un bambino annegato nel Mar Mediterraneo. Scoprono una realtà sconvolgente: migliaia di persone ogni giorno rischiano la vita cercando di attraversare il mare con la più precaria delle navi, fuggendo da conflitti armati e altre miserie nei loro paesi d’origine.

La storia di Oscar Camps, fondatore di Open Arms, organizzazione che per prima si è occupata di proteggere in mare le persone che cercano di raggiungere l’Europa viene raccontata nel film Open Arms – La legge del mare di Marcel Barrena con Eduard Fernandez, Dani Rovira, Anna Castillo, Sergi Lopez, Alex Monner, Melika Foroutan, in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma.

Innanzitutto, gli eventi: Proactiva Open Arms è una organizzazione non governativa  catalana, il cui obiettivo è condurre operazioni di ricerca e soccorso in mare. L’associazione ha ricevuto svariati premi tra cui l’European Citizen Prize nel 2016. Il suo fondatore Oscar Camps è stato premiato come “Catalan of the Year 2015“. In maniera congiunta con la sede operativa a Lesbo, l’Organizzazione, nel 2015, coordinò le operazioni  di Lesbo con altre tre navi, uno yacht, l’Astral, utilizzato perlopiù per operazioni di ricerca, il Golfo Azzurro e la Open Arms, da cui poi prese il nome.

Nel mese di settembre i primi volontari arrivarono per le operazioni di soccorso. All’inizio, gli unici materiali disponibili furono basilari attrezzature subacquee. Le attività principali consistevano nel guidare e assistere i rifugiati, principalmente siriani arrivati dalla Turchia, affinché giungessero in sicurezza sulla costa. Nel marzo 2018, una motovedetta della guardia costiera libica intercettò un’imbarcazione di Open Arms in acque internazionali e minacciò di “sparare per uccidere” in caso l’ONG rifiutasse di consegnare le donne e i bambini che erano tra i 218 passeggeri recuperati dall’organizzazione in quella stessa giornata in acque internazionali.

Il 1° agosto 2019 una nave della Open Arms, in due interventi di salvataggio, prese a bordo 124 persone; il giorno seguente venne chiesto un porto sicuro in Italia, ma viene notificato il divieto di ingresso nelle acque territoriali. Il 9 agosto i legali della ONG chiesero al competente tribunale di Palermo di far sbarcare i minori. Il 10, con un nuovo intervento di salvataggio, vennero imbarcate altre 39 persone. Solo dopo una visita sulla nave del procuratore di Agrigento e il sequestro preventivo d’urgenza, la nave attraccò nel porto di Lampedusa con gli ultimi 83 migranti.

“Nel settembre del 2015 il mondo intero ha pianto davanti alla fotografia di Aylan Kurdim un bambino senza vita sulle rive del Mediterraneo – dice il regista Barrena – A Oscar Camps quell’immagine ha cambiato la vita per sempre. Ha convinto il suo amico Gerard a viaggiare fino a Lesbo per vedere cosa stava accadendo su quelle coste. Quello che doveva essere un viaggio di soli due giorni si è trasformata in una missione che è durata mesi e che fino a oggi ha salvato la vita a più di 60 mila persone. Vedendo quell’immagine, Oscar ha lasciato tutto per salvare molte persone da morte certa e denunciare quanto stava succedendo. Cosa potevo fare io? Non sono un bagnino e non avrei potuto fare come lui. Ma potevo fare un film per dare visibilità a ciò che stava accadendo a un paio d’ore di aereo da casa nostra. Per quattro anni, ho lavorato, ricercato e viaggiato a Lesbo per vedere in prima persona la situazione e dare forma a un progetto in cui ho affrontato l’inimmaginabile e che ha trasformato in ridicoli tutti i soliti problemi che possono verificarsi sul set di un film. Lungo il percorso, io e il resto del cast abbiamo affrontato una pandemia, la grave malattia di uno dei protagonisti, uragani e attacchi di stampo quasi fascista. Abbiamo affrontato anche la perdita di attori, di centinaia di comparsi e di location a poche ore dall’inizio delle riprese. Abbiamo anche subito la distruzione delle videocamere e incidenti navali. Nessuno della troupe aveva affrontato mai niente di simile, riprese così intense in mare aperto, difficoltà tecniche con dispendio di energie sia fisiche sia emotive e situazioni così pericolose. Open Arms è stato un film di enormi responsabilità ed infinite emozioni, prima, durante e dopo le riprese. Ci sono storie e storie. E ce ne sono alcune che si devono raccontare sia per commuovere il pubblico sia per dare voce a chi una voce non ce l’ha. Da quando ho incontrato Oscar e ho messo piede a Lesbo, ho capito che questa storia doveva essere raccontata nella maniera più realistica possibile, motivo per cui ho sempre condiviso tutti i dettagli con chi lavorava con me, dalla psicologia dei personaggi alle scene in alto mare. Il mio obiettivo è quello di mostrare al pubblico cosa si prova e si vive in determinate situazioni, piene di contraddizioni e complessità e fatte di lingue e culture diverse. Mi auguro che il messaggio arrivi a quanta più gente possibile. Né il film né io abbiamo la pretesa di avere una soluzione o risposte: ci facciamo solo da tramite e raccontiamo affinché nessuno dimentichi”.

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14 Ottobre 2021

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