È una duplice dichiarazione d’amore il nuovo film del maestro dell’animazione Michel Ocelot, Le avventure di Dililì a Parigi: un atto d’amore verso il genere femminile, troppo spesso ancora oggi vittima degli uomini, e insieme un’ode a Parigi, “città magnifica così com’è”, posto del cuore in cui Ocelot vive e che appare nel film in tutto il suo straordinario splendore. “Faccio fatica a parlare di Notre Dame perchè mi viene un groppo in gola “, ha ammesso in conferenza stampa Ocelot parlando del tragico incendio che ha distrutto parte della Cattedrale. “Le prime informazioni che circolavano ieri erano spaventose, su un giornale ho letto addirittura che Notre Dame non c’era più. Stamattina ho invece scoperto che esiste ancora e che per la maggior parte è salva! Una delle cose che mi fanno sentire meglio è l’emozione che l’evento ha suscitato in tutto il mondo. Notre Dame è uno dei simboli della nostra civiltà e tutti, giustamente, tengono a lei”.
Le avventure di Dililì a Parigi, in circa 100 sale con BIM e Movies Inspired dal 24 aprile, è un film ambientato nella Parigi della Belle Époque, pieno di riferimenti artistici più o meno dichiarati, dove la piccola canaca Dililì (eroina mulatta e per questo rifiutata sia dalle persone bianche che di colore), con l’aiuto del giovane fattorino Orel, indaga su una serie di rapimenti misteriosi in cui sono coinvolte alcune bambine. Nel corso delle indagini incontreranno personaggi straordinari che li aiuteranno fornendo loro gli indizi necessari per scoprire il covo segreto dei ‘Maschi Maestri’, la setta responsabile dei rapimenti che vorrebbe coprire le donne con un velo scuro e assoggettarle a un ruolo di semi-schiavitù. Qualcosa dall’eco drammaticamente attuale.
Qual è stato lo spunto per Le avventure di Dililì a Parigi, storia di una piccola originaria della Nuova Caledonia che indaga su una serie di misteriosi rapimenti di bambine?
Il film ha un’origine abominevole. Da sempre sono molto sensibile allo squilibrio che c’è tra uomo e donna, qualcosa di irrazionale e non positivo né per l’uno né per l’altro genere. Poco a poco ho scoperto che la situazione era peggio di quello che pensavo. In tutti i paesi del mondo, anche in Occidente, ci sono uomini che calpestano le donne ma anche le bambine. Ci sono più morti dovute al fatto di essere donne che alle guerre. Il male esiste, così come esiste il bene, ed il bene in questo momento è la nostra civiltà.
Oltre che affrontare il tema della difesa delle donne, il film è dichiaratamente un atto di amore verso Parigi, vittima in passato di attacchi terroristici e ieri del devastante incendio della sua cattedrale. Come ha vissuto questi tragici momenti?
Faccio fatica a parlare di Notre Dame perché mi viene un groppo in gola, le prime informazioni che circolavano ieri erano spaventose, su un giornale ho letto addirittura che Notre Dame non c’era più. Stamattina ho invece scoperto che esiste ancora, che la maggior parte della cattedrale è salva! Una delle cose che mi fanno sentire meglio è l’emozione che l’evento ha suscitato in tutto il mondo. È uno dei simboli della nostra civiltà e tutti tengono a Notre Dame. Ciò detto, quando si fa un film d’animazione l’attualità entra poco in gioco, anche perché mi ci vogliono generalmente sei anni per fare un film. Per esempio quando Boko Haram ha rapito le studentesse in Nigeria, la storia l’avevo già scritta, ma evidentemente non alla leggera, ne avevo sentito già l’origine da qualche parte.
Nei suoi film ha spesso esplorato continenti lontani. Questa volta, invece, ha ambientato la storia in Europa, a Parigi. Come mai questa scelta?
Cerco ogni volta di esplorare qualcosa di nuovo, mi piace tutto il mondo e mi piace rappresentarlo nelle sue diverse sfaccettature. Ma per una volta ho pensato a Parigi come scenografia, una città straordinaria che amo così com’è e che oltretutto conosco molto bene perché ci abito.
Perché ha ambientato la storia nel periodo della Belle Époque?
Innanzitutto per i bei vestiti. È uno degli ultimi periodi in cui le donne erano solite indossare abiti lunghi fino a terra, capaci di far sognare. La Belle Époque è stata, poi, un momento di grandi libertà e di invenzioni, una buona epoca per parlare del male e del bene. Parigi era piena di personaggi straordinari e molto dotati da tutti i punti di vista. Risale a quel periodo la prima studentessa universitaria, il primo professore donna all’università, la prima dottoressa, la prima donna avvocato e uno dei primi geni della scienza al femminile, Madame Curie.
Preferisce avere una visione magica delle donne, presentandole come esseri capaci di far sognare?
Non ho nessuna visione magica né degli uomini né delle donne, ma so che possiedo i mezzi per far sognare gli spettatori e li uso. Le donne che amo o con cui amo stare non hanno niente a che vedere con la magia. I miei film sono piuttosto una pubblicità per la realtà. Per questo ho inserito nel film anche scenografie composte da semplici foto di Parigi che ho scattato io stesso e a cui ho sovrapposto i personaggi disegnati. Mostro la realtà che a volte è molto più bella della fantasia.
Usa il cinema d’animazione come strumento per comunicare con i più piccoli?
L’animazione è un mezzo espressivo alla stregua delle letteratura, e come per la letteratura si fa ciò che si vuole. Io non ho mai fatto film dichiaratamente per bambini: sono un regista e faccio film, tutto qui. Per il mio primo film non avevo assolutamente pensato più piccoli, ma avevo fatto un racconto filosofico sull’intolleranza e la violenza destinato agli adulti. Lo hanno fatto però vedere solo ai bambini e da quel momento il mio cinema è stato marchiato come qualcosa rivolto a un pubblico giovane. All’inizio ne ero molto scontento, ora è una cosa che, invece, mi diverte perché è come un cavallo di Troia: gli adulti pensano che i miei film siano destinati ai bambini e non diffidano, e io così posso parlare di qualsiasi cosa e li faccio piangere.
Perché ha scelto, allora, proprio l’animazione come mezzo espressivo?
Se fossi nato all’epoca dell’informatica forse non avrei fatto animazione, ci sono arrivato da bambino giocando con il disegno, la carta, le forbici, il bricolage: tutte cose che si possono toccare. I film tridimensionali americani non mi fanno volare: è un’imitazione realista della verità, anche quando i personaggi sono inventati. Qualcosa che non ha senso, non bisogna nascondere che sono artifici. Il nostro cervello di spettatori ha bisogno di lavorare, con un’immagine masticata e masticata come se fosse un hamburger il nostro cervello si annoia.
Pensa che il film possa smuovere una presa di coscienza rispetto alla relazione uomo-donna?
Le avventure di Dililì a Parigi è un film da mostrare in più Paesi e che può far del bene: i ragazzini potranno scegliere se essere il bello e amato Orel o un Maestro Maschio, e le bambine potranno imparare a diffidare e a non dimenticare la frase “mai più a quattro zampe”. Perché quando le vittime non accettano di essere vittime, la vita dei carnefici diventa meno semplice.
È già di nuovo al lavoro per il suo prossimo film?
Certo che sì! Il mio prossimo film sarà, però, diverso da questo. Sarò molto più leggero e non affronterò un argomento serio, o almeno non del tutto. Sarà qualcosa di molto carino.
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