Nicolò Galasso: “folgorato da ‘C’era una volta in America’, sogno il ruolo di Batman”

L’intervista al protagonista di Mare Fuori, nel ruolo di Gaetano Sannino, detto 'O Pirucchio: secondo la Giuria Stampa 2023, Premio Meno di Trenta – Serie Tv, ex aequo con Francesco Centorame


Nicolò è ‘O Pirucchio – all’anagrafe seriale Gaetano Sannino – in Mare Fuori.

28 novembre 1998 la sua data di nascita, 24 anni e un curriculum in cui più di un fiore all’occhiello suggerisce il talento; tra gli altri, ha calcato i set di The New Pope di Paolo Sorrentino e della serie I Medici 3, così quelli di Belve, La scuola cattolica e Piove: lui è Nicolò Galasso, diplomato al Centro Sperimentale, e vincitore del Premio Meno di Trenta – Serie Tv secondo la Giuria Stampa  (leggi la news), ex aequo con Francesco Centorame.

Nella IV edizione della manifestazione che nasce e dedica il proprio focus a intercettare e valorizzare gli artisti under 30 che stanno debuttando o facendo i loro primi passi tra grande e piccolo schermo c’è anche Nicolò Galasso, qui pari merito con Centorame appunto, e con Greta Gasbarri, lei premio Meno di Trenta – Cinema.

Nicolò, il tuo debutto assoluto sullo schermo è stato con Tutto il mio folle amore: quando e come arriva l’arte della recitazione nella tua vita, e cosa dell’interpretazione cinematografica/seriale hai compreso appartenere alle tue corde?

Nasce da bambino, ero molto piccolo: sono sempre andato a teatro e sempre mi sono un po’ rifugiato nei film, le VHS le guardavo e riguardavo, quindi la passione nasce dall’idea di voler vivere una storia: poi, andando avanti, è arrivato il liceo, dove ho iniziato a studiare recitazione con un’ottica più professionale. È sempre stato qualcosa che da dentro sentivo come passione: la rappresentazione, il raccontare. Penso che tutto che sia nato nel guardare quelle videocassette 6000 volte, notte e giorno, imparando a memoria le scene. Poi a 18 anni sono stato ammesso al Centro Sperimentale, dove mi sono formato, nel frattempo iniziando già a lavorare, anche per il film di Salvatores.

Dopo un’opportunità importante come Mare Fuori, di visibilità popolare, tu da interprete under 30 come stai lavorando sulla tua formazione, per cercare di tenere alta l’asticella e non rischiare di essere ricordato solo per un progetto?

Penso che il lavoro sia sempre lo stesso, prima o dopo una serie di grande successo, che ovviamente ti porta più esperienza, perché si tratta di un lavoro molto lungo su un personaggio, però nel frattempo ho avuto la possibilità di fare anche altri film, e quindi di tenermi sempre attivo su altri tipi di storie. Poi, lo studio dell’attore risiede proprio nella curiosità e nella ricerca continua, non esistono solamente i lavori che uno fa, ma soprattutto quelli che uno immagina di fare, perché è un mestiere che procede tra studio e immaginazione.

Parliamo di talento: non tutte le persone che recitano lo possiedono, possono essere ben dirette e funzionare ma il talento è una virtù innata, da coltivare, ma che nessuno ti insegna. Tu hai compreso cosa significhi ‘avere la stoffa’, cosa sia ‘il talento’ appunto?

 Penso sia qualcosa che ti aiuta a prediligere una determinata formazione: uno può avere talento in qualsiasi cosa, nella matematica come in qualsiasi disciplina; il talento è l’inizio, la base, ma lo studio e l’ossessione battono ogni forma di incipit, penso che solo quello faccia effettivamente la differenza. Non sono un fan del talento: io credo un talento l’abbiano tutti, però è come lo porti avanti a far la differenza, è lo studio che incide, tutto è esperienza, che sia immaginifica o pratica: il talento è quella cosa che ti indirizza in una direzione, l’esperienza ti fa progredire.

Essere destinatario di un premio, sempre nell’ottica dell’essere ‘un debuttante’, che valore pensi possa avere per la carriera? Per te personalmente ma anche per chi ti osserva, chi ti dovrà scegliere per prossimi progetti.

È bello pensare e sapere di ricevere un premio, soprattutto anche perché sono passati cinque anni da quando ho iniziato effettivamente a fare questo lavoro, però non so che effetto possa avere e la cosa che mi sento di dire è che lo scopriremo insieme col tempo.

Nel tuo mestiere applichi o studi un ‘metodo’ di recitazione? Hai una tecnica? Oppure sei un attore ‘di pancia’?

Io applico quello che ho imparato e quello che penso sia funzionale a ogni progetto, personaggio: parto dalla sceneggiatura, dall’analisi del testo, mi faccio un’idea del personaggio appunto, e da lì passo al corpo, alla postura, alla camminata, poi alla parola, per me molto importante: non è un caso che per Mare Fuori abbia fatto un ‘più che napoletano’ pur non essendo tale; ha richiesto tanto studio sì, ma dà un’esperienza proprio diversa la parola stessa, ha un suono differente, dà una verità amplificata, per questo sento l’importanza della parola, tanto quanto quella del corpo. Avere un atteggiamento fisico differente per ogni personaggio, ovviamente in base allo specifico, penso sia il fondamento del mestiere. La bellezza sta nell’aver studiato tanto nella fase di preparazione, per poi – sulla scena – essere libero, di vivere e rinascere, il rinascere di tutto il lavoro fatto in modo quasi inconsapevole, perché metabolizzato.

È efficace, per un attore in crescita, avere delle figure attoriali d’ispirazione professionale, oppure è più saggio guardarle per ammirazione ma poi concentrarsi sulla propria individualità?

Penso che tutti abbiamo degli idoli, soprattutto in questo mestiere, visto che il cinema si guarda, si vede: ci sono grandi a cui uno si ispira, o per aspirazione appunto, o per caratteri interpretati, quindi si cerca di imparare dai maestri, ma alla fine il lavoro è sempre su te stesso, e cambia da attore a attore.

Mentre, da spettatore, cosa guardi con più piacere e curiosità? E ricordi il primo film visto al cinema e/o il primo film che ti ha segnato nell’idea di far l’attore?

 Come spettatore sono molto curioso, cerco di vedere il più possibile di quello che è proposto. Mi rifaccio tanto ai film classici, quelli che mi hanno appassionato, per il cinema italiano tutto Monicelli o Risi: per me, folgorante è stato C’era una volta in America di Sergio Leone, un film che mi ha fatto dire ‘vorrei fare un personaggio del genere’. La primissima volta al cinema ero molto piccolo, penso fosse per Pinocchio, sicuramente fu un’esperienza anche se non la ricordo, ma ricordo invece la prima a teatro, era per I promessi sposi, avevo 2/3 anni! Mi ricordo ancora la battuta: ‘…perpetua, perpetua…’.

Il ‘genere’, che ha avuto grandi stagioni nel nostro cinema, sta riprendendo un po’ piede: cosa ne pensi dell’opportunità di potersi sperimentare in un film di genere, e in quale ti piacerebbe misurati?

Penso che ogni genere sia bello da affrontare perché sono sfide differenti: io intendo il termine ‘recitare’ come ‘abitare la possibilità’, quindi ogni possibilità abitabile bisogna prenderla in considerazione e i generi sono davvero belli ciascuno a suo modo. Per Piove, sono stato molto contento di fare un film di genere; ma, parlando da bambino sognatore, interpretare Batman sarebbe meraviglioso.

Il cinema italiano presente, che opportunità dà ad un giovane interprete, e quali difetti invece avverti, che potrebbero essere migliorati proprio per il futuro della generazione più recente?

 Penso che per i giovani in questo momento ci siano grandi opportunità, perché ci sono tanti film e serie che riguardano proprio questa generazione; non vedo nulla da cambiare, anzi. Penso che più progetti ci sono in tal senso e più ci sia possibilità di confronto. Non c’è un problema che noto.

Progetti per il futuro. 

 Sto girando… e ci sarà un film che uscirà entro un anno, ci sono progetti in corso, ma non posso però dire di più.

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15 Giugno 2023

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