Piccola, minuta, sommessa, paradossalmente fiera della sua timidezza – ma non lo ammetterebbe mai. Amata dai registi, da Jim Jarmusch a Paolo Virzì, ma protagonista intermittente del nuovo cinema italiano dove è stata per lo più generosa protagonista nei film del travolgente Benigni.
Nicoletta Braschi, la Fata Turchina dell’atteso Pinocchio, sarà la giurata italiana al prossimo festival di Berlino. E ci sarà, come spiega l’invito del direttore della Berlinale, nella sua doppia veste di attrice e produttrice, figura rara nel panorama del nostro cinema. Una scuola, quella della produzione, che comincia su istigazione degli amici Jim Jarmusch e Sara Driver, prosegue sui set di Benigni con l’esperienza della “Melampo” insieme al fratello Gigi e alle lezioni quotidiane di Elda Ferri, si rafforza con l’impresa degli studi di Papigno e l’esperienza complessa quanto affascinante di Pinocchio.
Nicoletta Braschi sfugge le interviste, ama poco parlare di sé e ancor meno del suo talento (pensa che il lavoro è una fatica e una benedizione quotidiana, ma che l’unica cosa veramente importante è fare solo ciò che si ama, con tenacia, spirito di indipendenza e voglia di libertà), per contratto si è imposta il silenzio stampa sul suo impegno attuale.
Ma di lei possiamo raccontare molte cose, da lei possiamo carpire qualche confidenza, per lei parlano i suoi film, spesso baciati dal successo tra Ovosodo e La vita è bella.
E’ nata il 16 aprile del 1960 e di quella data, come della sua terra a cavallo tra l’Emilia e la Romagna, ha conservato il calore, la solarità, l’ottimismo di chi sente che tutto è ancora da fare, dal pane alla vendemmia. Ha studiato alla Scuola d’Arte Drammatica, ma ama il cinema fin da piccola e ne conosce pagine intere a memoria. Sembra più a suo agio nel citare Barbara Stanwick in Double Indemnity o Danielle Darrieux in Madame De che tanti film contemporanei e pensa che il piccolo seme gettato nell’adolescenza, da un cinemino all’altro, abbia pian piano germogliato diventando la passione dominante.
A fare un po’ di illazioni si potrebbe dire che il teatro oggi la tenterebbe di nuovo, così come un cinema di commedia e di tragedia sulla scia dei suoi grandi modelli femminili. Ma dell’uno la spaventa la vita girovaga e senza radici e per l’altro ci vorrebbe il tempo che non c’è. “Se solo potessi – rara citazione da appuntare – vorrei potermi alzare ogni mattina e recitare, stare su un set, lavorare un personaggio ogni volta diverso, appassionarmi per un film, per un traguardo compiuto e sperare di riconoscermi nel risultato”.
Intanto nei grandi studi di Papigno si muove come a casa propria (ne ha peraltro presa una in affitto a due passi dal set), adora la quotidianità umile del lavoro, i ritmi precisi, i piccoli riti di un film che si materializza dal nulla un giorno dopo l’altro. Nelle pause, rare perché da animale sia diurno che notturno accetta volentieri ritmi massacranti, legge molto. Predilezioni? I classici senza riserve dall’adorato Dickens alla Mansfield, dalle sorelle Bronte a Proust passando per i grandi narratori russi.
Ha occhi febbrili, Nicoletta Braschi, capaci di illuminarsi per gli gnocchi di patate ma anche per un poeta come Kavafis. Capaci di diventare taglienti se evochi la sua passione civile che la porta a immaginare una televisione “alta”, capace di contrastare la barbarie che ha preso possesso di uno strumento cruciale per la comunicazione e la formazione delle persone; e capaci di animarsi nel difendere un’idea di “cittadinanza” che non si confonda con il gretto campanilismo perché – pensa – amare la propria origine italiana non deve negare la curiosità, il rispetto, l’apertura mentale verso ogni altra cultura. Ha idee per ogni ora del giorno e la fierezza di un gusto sicuro (la definirei la razionalità dell’istinto) ed è con queste armi, sommate a una gran voglia di vedere i film degli altri dopo mesi di concentrazione collodiana, che si prepara a fare il giurato a Berlino. Tiene a dire che si è sentita “onorata” della scelta del festival e dell’entusiasmo con cui l’ha accolta in giuria Mira Nair (presidente) e si butta nell’avventura con diligenza da studentessa. Ma, possiamo esserne certi, non sarà intimidita nel difendere un film, un interprete – qualsiasi film, qualsiasi attore – che l’abbiano colpita davvero. Esattamente vent’anni dopo l’esordio in Tu mi turbi, forte degli insegnamenti di registi come Marco Ferreri, Jim Jarmusch, Bernardo Bertolucci, Marco Tullio Giordana, Paolo Virzì, Roberto Faenza e Roberto Benigni, Nicoletta Braschi arriva a Berlino da protagonista. Silenziosa, sommessa, curiosa, gentile e determinata (anche se non lo ammette). Come sempre.
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