CORTINA D’AMPEZZO – “Le paure e le fragilità non vanno nascoste, sono il nostro superpotere. Bisogna aprire il cuore agli altri per diventare un supereroe”. Per Nicola Guaglianone questo è uno degli aspetti più importanti quando si vuole scrivere una buona storia. Ed è ciò che insegna ai giovani che vogliono diventare degli sceneggiatori nella vita.
L’autore di Lo chiamavano Jeeg Robot, Indivisibili, Freaks Out è tra i giurati di Cortinametraggio, dove annuncia a Cinecittà News di star lavorando a una serie di cui firmerà la sua prima regia. “È una storia molto personale sul diventare adulti e sull’intraprendere delle scelte anche sbagliate”, ci racconta.
Guaglianone, che caratteristica deve avere un corto per colpirla?
Un linguaggio nuovo che riesca a spostare il punto di osservazione con cui si guarda la realtà, senza cercare di imitare cose già fatte. Soprattutto quando si fa un corto bisogna trovare una propria voce e individualità. È diverso per i film e le serie. Quello è un lavoro di puro artigianato, dove è fondamentale lo studio.
Qual è la prima regola per scrivere bene una storia?
Bisogna individuare un personaggio, conoscerlo, essere onesti, lavorare sulle sue fragilità e sulle sue paure, trovare qualcosa di irrisolto nell’animo umano. Nessuno di noi vuole cambiare, perché il cambiamento ci mette di fronte a un mondo sconosciuto. Invece è importante mettere il personaggio di fronte alle sue paure, per far sì che fungano da sfida, e portarlo a un cambiamento.
C’è un personaggio di quelli che ha scritto che ha amato di più?
Ce ne sono molti. Forse mi affeziono maggiormente ai villain, come lo Zingaro di Lo chiamavano Jeeg Robot o anche Franz di Freaks Out, quest’ultimo un uomo che vuole essere amato dal padre, Hitler. Sono legato anche al personaggio interpretato da Sara Serraiocco nel film In viaggio con Adele. Mi piacciono quei personaggi che all’apparenza sembrano interrotti, sospesi. Perché si arricchiscono loro e quelli che hanno accanto, come avviene in quel film per il personaggio del padre interpretato da Alessandro Haber. Tengo molto anche alle gemelle di Indivisibili, soprattutto a Viola, che all’inizio è la più debole vivendo trainata dalla sorella. Lei ammette di non volersi dividere perché sa che può perdere la sua gemella, ma è tirando fuori la sua fragilità che diventa più forte e inizia a guidare la coppia. Le paure e le fragilità non vanno mai nascoste quando si scrive, sono il nostro superpotere. Bisogna donare l’anima agli altri per diventare un supereroe.
Tornando ai corti, quindici anni fa anche lei ne aveva diretto uno…
Si chiamava Amici all’italiana e tra gli attori c’erano anche Haber e Francesca Reggiani. È stato divertente farlo, ho pure vinto dei premi. Poi mi sono accorto che l’interesse era più per la scrittura. Avevo così tanti personaggi nella testa che non mi volevo focalizzare sulla regia che richiede tempi lunghi. Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot ho scritto almeno quindici film. Con la mia società Miyagi voglio produrre storie mie, che spesso scrivo insieme a Menotti con il quale il processo creativo è molto stimolante. Ma voglio anche realizzare storie di altri. Ultimamente ho acquisito i diritti di un romanzo di una giovane autrice di cui vorrei realizzare una serie.
Quindi alla regia non ci pensa più?
In realtà ho seguito la seconda unità de La Befana vien di notte II-Le origini. All’inizio avevo paura, ma con Paola Randi ci siamo divertiti molto, anche a girare scene più complicate. E così mi sono deciso. Ho scritto cinquanta pagine di trattamento di una serie molto intima che voglio anche dirigere. Di sei episodi almeno tre, il primo, quello di mezzo e l’ultimo vorrei farli io.
Che storia è?
Quella di un personaggio che diventa adulto e che si dice mai più. Per rimediare a dei traumi del passato, intraprende un percorso che pensa sia giusto e invece è sbagliato.
E lei ha mai detto a se stesso: mai più?
Beh, tante volte, anche a registi e produttori (ride, ndr).
Sta lavorando anche ad altro?
Ho scritto almeno cinque, sei soggetti, ho tre proposte di serie, e ho lavorato all’opera prima di Edoardo Ferrario, un bravissimo comico romano. Mi sono anche preso del tempo per studiare, ho viaggiato, un paio di mesi fa sono andato a New York dove ho visto tanti spettacoli che mi sono serviti nel mio lavoro.
Ma lo Zingaro, invece, lo rivedremo mai?
È un personaggio che ha ancora tanto da dire. È nato dall’idea di raccontare un giovane che negli anni Novanta voleva svoltare con lo spettacolo, poi quando le sue aspirazioni si sono scontrate contro il muro del fallimento è diventato un violento. Anch’io vorrei sapere com’è diventato oggi, vorrei capire a che punto è il suo rapporto con il padre. Chissà, forse prima o poi lo scopriremo.
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