Nell’Atlante del Giallo, il Philo Vance di Albertazzi e l’eco di Visconti

Nell’ambito del Noir in Festival, un convegno all’Università IULM per presentare una ricerca nazionale (PRIN) che ha coinvolto più atenei e studiosi italiani sul tema del “giallo”


MILANO – Un ingresso progressivo in una scena nera, quella del “giallo”: nell’ambito del Noir in Festival, la presentazione di una ricerca nazionale (PRIN) che ha coinvolto più università e studiosi italiani: “Verso un Atlante del Giallo. Percorsi intermediali nell’immaginario del crimine”. 

Lo studio – che vede partecipi corali l’università IULM di Milano, che ha ospitato il convegno: le università di Firenze; la Link Campus; quelle di Torino e di Chieti, con il sostegno del MUR – indaga il giallo nelle sue diverse forme, riflettendo sul tentativo di riscrivere la storia del giallo italiano, affinché sia una cifra per rileggere l’industria culturale, con i processi intermediali necessari a costituire l’industria medesima.

C’è un processo di contaminazione reciproca tra cinema, radio, fumetto, televisione e c’è la capacità del giallo di adattarsi e di dare forma; apparentemente molto rigida, la struttura del giallo in realtà permette una grande qualità indiziaria: è una forma rivelatrice di processi cognitivi, logici e umani, che sveleno il rapporto con il male, che ci appartiene profondamente.

Mettendo al centro la relazione tra la pulp fiction gialla e la tv, Monica Dall’Asta (Università di Bologna) – tra i relatori – affronta il tema presentando la ricerca: “L’identità del giallo italiano tra cosmopolitismo e regionalismo”. Il team di Bologna ha studiato i discorsi critici e teorici che si sono interrogati sul concetto e le condizioni di esistenza del “giallo italiano”, che è stato al centro di numerosi interventi fin dagli Anni ’30 del Novecento. Ma come si è passati dalla teorizzazione della “impossibilità” del poliziesco in Italia alla sua diffusione e “rirteritorializzazione”? E che ruolo hanno avuto i diversi media, anche nella loro interazione, in questo processo? Dall’Asta come fondamento presenta la definizione di “cosmopolitismo”, riportando soprattutto la definizione di Hannerz che, nell’ambito degli studi culturali, indica un’attitudine di “apertura intellettuale ed estetica verso esperienze culturali divergenti e la capacità di inserirsi in culture diverse”. Mentre per “regionalismo” ci si rifà agli studi letterari, che indicano un tipo di narrazione che fa uso di caratteristiche regionali specifiche, come il dialetto, le usanze, la storia locale, privilegiando un’ambientazione rurale o provinciale. Il tutto deducendo che “cosmopolitismo sta a globalizzazione come regionalismo sta a glocalizzazione”.

Paola Valentini (Università di Firenze), poi, presenta “Non solo detective. Visioni di giallo nella produzione Rai Anni ‘70”, condividendo – tra gli altri – un particolare estratto video dalle Teche, in cui Giorgio Albertazzi racconta il detective Philo Vance, che va in onda nel settembre del ’74. Valentini spiega il perché del movimento dal prologo, quasi didascalico, alla scena, dinamismo che comporta passaggi di “soglie”, in cui la macchina (tecnica) è sempre in campo – “luci per favore”, sentiamo dire – con un principio di esibizione dell’immagine, che fa di questo prologo un emblema della dimensione dello scorniciamento tipica del giallo televisivo, genere che proprio nella tv trova una straordinaria applicazione. Il detective, quindi, anche come interfaccia con il pubblico, come colui che guarda negli occhi lo spettatore, ricordandogli il suo statuto. 

Nel panel, anche l’intervento di Giorgio Gosetti, co-direttore del Noir, che riflette come “abbiamo esattamente la fotografia di un movimento italiano che deve ancora chiedersi se mettersi in chiave anonima e raccontare l’America o in chiave regionalistica e raccontare l’Italia”. Nell’evocare lo sdoganamento della Trival Literature, Gosetti segnala inoltre l’interesse nell’osservare che adesso gli autori letterari si definiscano “di noir”, quando fino al ’90 si parlava “di giallo”. Gli italiani hanno sempre un pudore storico nell’imputarsi questo genere, ma Orio Caldiron – proprio in una edizione del Noir – fu protagonista di un incontro in cui mostrò quanto sia presente e con talento il genere nella storia italiana, pensiamo anche a Senso di Luchino Visconti, per non parlare di Francesco Rosi”. Il premio Scerbanenco nasce nel 1993 e “si dovrà arrivare al ’96 perché lo vinca Carlo Lucarelli: porto questo esempio come un metronomo. Solo nei primi 2000 sono riconosciuti i talenti di De Cataldo e Massimo Carlotto: quindi, stiamo parlando di un’accelerazione del fenomeno che occupa la scena degli Anni 2000, così come quella degli Anni ’30, come illustrato dalla ricerca. Siamo al cospetto, al Festival di quest’anno, di Harlan Coben: ha firmato con Netflix per 14 adattamenti, la cosa interessante di questi seriali è lo sviluppo da parte di Paesi diversi; lui scrive nel New Jersey ma ama che la novelization per la serialità sia internazionale, a proposito di cosmopolitismo o glocalismo”. 

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06 Dicembre 2022

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