“National Gallery”, Wiseman e l’arte dello storytelling

Il nuovo documentario del maestro è passato alla Quinzaine Des Réalisateurs e sarà presto in Italia, prima al Biografilm Festival di Bologna e poi in sala con I Wonder Pictures


CANNES – 170 ore di girato, 255 dipinti, 14 mesi di lavoro di cui 12 settimane di riprese, per 12 ore al giorno, per arrivare al risultato finale di un bellissimo documentario che dura 2 e ore e 54. Sono i numeri di National Gallery, il nuovo documentario del maestro Frederick Wiseman, passato alla Quinzaine Des Réalisateurs e presto in Italia, prima al Biografilm Festival di Bologna e poi in sala con I Wonder Pictures. “Da molto tempo volevo fare un film su un museo, e quando per caso mi è capitata l’occasione della National Gallery mi ci sono buttato con entusiasmo”, ha detto a CinecittàNews il regista, che a 84 anni e con decine di film alle spalle racconta di vivere ancora “ogni documentario come un’avventura”.

Wiseman, negli anni, è entrato con la sua macchina da presa e la sua incredibile capacità di osservazione e storytelling dentro istituzioni e luoghi privati, dal manicomio criminale del suo esordio Titicut Follies al Crazy Horse, dal tribunale al commissariato, dalla palestra di boxe al balletto dell’Opéra di Parigi. Ora, per la prima volta, ha posato il suo sguardo su un museo con il suo consueto stile – che non prevede interviste né musica – catturando le dinamiche di un luogo che produce cultura e affronta la contraddizione tra arte e mercato. Osservando i dipinti e le guide che li illustrano al pubblico con dovizia di particolari e un’incredibile capacità narrativa; intrufolandosi nelle riunioni del management, alle prese con difficili decisioni di marketing (come gestire l’arrivo della maratona davanti all’ingresso?) e con tagli di budget e di personale; registrando momenti di formazione e affascinanti sedute di restauro.

National Gallery racconta così l’arte e il cinema, il rapporto tra opera e spettatore, la crisi, la specificità della mentalità inglese nell’organizzazione di un’istituzione e nella risoluzione dei problemi. “Per girare il film ho sviluppato un sistema di informatori – ha spiegato Wiseman – non nel senso dell’Fbi, ma delle persone che mi riferivano ciò che sarebbe successo nel museo. Poi passavo 12 ore al giorno nel museo, ma giravo al massimo per tre ore, mentre nel resto del tempo mi guardavo intorno, incontravo persone, parlavo con gli impiegati…”.

National Gallery
, come dice il suo stesso autore, “è un film sul raccontare storie in modi diversi”, e insieme un’immersione nell’arte, “di cui sono un amante – aggiunge – ma non uno specialista. E la mia capacità di esprimermi con l’illustrazione l’ho espressa con dei disegni all’età di 8 anni e, ad oggi, sono rimasto più o meno allo stesso livello”. Sul prossimo progetto di documentario e il prossimo luogo da indagare, Wiseman ha già delle idee, “ma finché non so che potrò realizzarle preferisco non parlarne”. E un’incursione in Italia? “Mi piacerebbe – risponde – ma ho il problema della lingua che mi blocca.

18 Maggio 2014

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