MILANO – “Cosa c’è sotto il web che noi conosciamo e quanto ha sempre più a che fare con gli argomenti della quotidianità? Qualcuno lo chiama l’inconscio della Rete, ma cos’è il Dark Web?”, questi gli interrogativi introduttivi che Giorgio Gosetti – co-direttore del Noir in Festival – pone aprendo l’incontro Le reti oscure del Deep Web.
“La Rete si percepisce come qualcosa di non materiale: la corrispondenza tra materiale e virtuale c’è sempre stata. Ci troviamo difronte a degli strati: una parte emersa, il World Wilde Web, poi se scendiamo di un piano c’è il primo livello sotterraneo, il Deep Web, che non è un altro pianeta, e i cui contenuti non sono indicizzati. Ma scendendo ancora c’è la Dark Net, la Rete privata virtuale accessibile solo a chi abbia specifica autorizzazione, disponga di credenziali”, spiega il generale Umberto Rapetto, esperto di criminalità economica e tecnologica.
Per la narrazione del Web più nero e profondo ci si immerge in questioni che sono versatili e trasversali, dalla sicurezza al mistero, per cui il dibattito amplia la propria platea di esperti e chiama in scena anche Alessandro Curioni, professionista del settore e docente di sicurezza dell’informazione alla Cattolica di Milano, e Andrea Purgatori, nella doppia veste di giornalista d’inchiesta e di sceneggiatore, di narratore di storie. “Io non ho esplorato il Dark Web ma ho provato a capire come entrare e ho visto siti in cui avrei potuto acquistare di tutto, dall’eroina alla cannabis, c’era anche un sito in cui noleggiare hacker. È una questione connessa all’eversione in generale, incluso il terrorismo, e questo Paese non è preparato a rispondere agli attacchi cyber: è impossibile essere difesi, nonostante pensiamo di aver messo sotto protezione i dati”, afferma Purgatori. “Manca la cultura. È difficile difenderci così come stiamo facendo, spesso i disastri accadono per l’ultimo click casuale dell’ultimo utente. La mancanza di cautele dipende dalla mancante cultura”, fa notare il Generale.
Ma “quanto è possibile mettere il Dark Web al centro della narrazione?” chiede Giorgio Gosetti. “Può essere estremamente noioso” per Purgatori. “Il racconto del meccanismo con cui nascondi o copri qualcosa può essere noioso. Non ho mai visto narrazioni che entrino nello specifico, può essere difficile raccontarlo a parole, figuriamoci con le immagini. Nell’audiovisivo – film, serie – ci sono limitazioni di tempo e approfondimento; per esempio, se entriamo nella narrazione dello spionaggio, nell’ingresso delle banche dati di un Paese, può essere davvero noioso”. Mentre per Curioni, anche autore de Il giorno del Bianconiglio, che nasce per cercare di divulgare lo storytelling del tema – con metafora, figura retorica – di qualcosa che si sta al di là dello schermo, “Dobbiamo anche un po’ cambiare il nostro approccio mentale: questa tecnologia è fatta dall’uomo e gli spunti narrativi sono molti, certo renderli visivamente non è banale. AlphaBay sarebbe stato un thriller perfetto da raccontare! Era un black market, poi smantellato dall’FBI in collaborazione con 20 polizie del mondo. Oppure, se pensiamo a Matrix, lì ci hanno messo tutto come lo conosciamo e proprio lì c’è il Maestro delle Porte”, come ad esempio lo è la più conosciuta 443, ovvero l’HTTPS – Hyper Text Transfer Protocol Sicure, ma “Il crimine organizzato usa Porte non autorizzate dagli Anni ’90: se qualcuno vi racconta che fa monitoraggio non gli credete! Dovremmo avere la capacità di riconosce la macchina del tempo: il crimine organizzato ha riscoperto la modalità radioamatoriale, e chi la controlla?”, chiede Rapetto.
“Il paradosso è che, a fronte dell’escalation dell’uso della tecnologia, s’è sviluppato un ritorno alla Human Intelligence: per esempio, Isis ha ricominciato a usare la presenza delle cellule in persona, dunque da una parte abbiamo queste tecnologie, dall’altra il ritorno delle spie sul campo”, racconta ancora lo sceneggiatore. “C’è sempre una ciclicità. Noi abbiamo una fragilità che è moltiplicata dalle possibilità della Rete. Tutto può essere trasformato in un’arma contro qualcuno”, continua ancora il Generale, l’uomo a capo dell’operazione che ha smascherato gli attacchi hacker contro il Pentagono, non solo operata da una forza dell’ordine italiana, ma dove anche il gruppo colpevole lo era, con il “tiratore scelto” identificato in un 15enne di Salerno, mamma insegnante di Informatica e zio luminare della Materia, ignari.
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