Moritz Bleibtreu, pirandellianamente indiano

Vedremo l'attore tedesco nella garbata commedia di Sam Garbaski Vijay il mio amico indiano, con tanto di turbante sulla testa


“Lavoro da quando sono piccolo. Recitare è tutta la mia vita”. A parlare è l’interprete tedesco Moritz Bleibtreu, classe ’71, figlio e nipote d’arte (attori sia i suoi genitori, Hans Brennen e Monika Bleibtreu, sia sua nonna Hedwig Bleibtreu) che ha interpretato il suo primo ruolo a sei anni e da allora non ha più smesso. Oggi è uno dei pochi talenti europei divenuto popolare a livello internazionale, come testimoniano le numerose esperienze sui set più vari, da Tom Tyker per Lola Corre a Steven Spielberg per Munich, dai fratelli Taviani per La masseria delle allodole a Fatih Akin per Im Juli, Solino e Soul Kitchen.  
Orso d’Argento 2006 per la performance in Le particelle elementari, trasformista per vocazione, lo abbiamo visto di recente sugli schermi italiani intento a reinventarsi come uomo e come partner nella garbata commedia di Sam Garbaski Vijay il mio amico indiano, con tanto di turbante sulla testa. Frustrato, disperato, assiste pirandellianamente al suo stesso funerale, si finge un grande amico del defunto e finisce per riconquistare la moglie neo-vedova recuperando un rapporto logorato dalla stanchezza degli anni e dalle delusioni.

Com’è per un europeo calarsi nei panni di un orientale?
Non facile. Ci vuole un approccio lungo e meditato per indossare panni culturalmente diversi. Non è solo questione di provare diverse barbe, o stupirsi nel vedersi allo specchio con la pelle scura, queste sono esteriorità che nota il pubblico e magari divertono, per un attore è diverso, si tratta di trasformarsi. L’importante per la performance in questo caso era mantenere la duplicità, calarsi in due anime ben distinte, mantenendole vive entrambe.  

Vijay ad un tratto, per motivi che non sveliamo, finge di essere chi non è: un attore come trova l’equilibrio nel bilanciare finzione e verità?
Il mio è un mestiere che impone di fingere ogni giorno tutto l’anno. Per questo ti diverti a interpretare caratteri lontani da te, mentre da uomo miri alla verità più immediata. La finzione può essere una grande chance, anche come esperienza umana: interpreti persone che non si ammaleranno ne’ invecchieranno mai: i personaggi se la passano molto meglio di tutti noi.  

Guardando alla sua carriera, si nota un certo equilibrio tra la scelta di blockbuster alla World War Z e film più piccoli e indipendenti, come appunto Vijay il mio amico indiano.
Se le dicessi che è casuale non ci crederebbe. In realtà lo è, non sono io che scelgo i personaggi, mi piace pensare che siano loro a cercarmi. Mi baso molto sull’emotività nella scelta di un progetto, magari mi piace raccontare un forte evento del momento, tipo WikiLeaks, e accetto di far parte di un film come Il quinto potere. Però non sono uno che ama mettersi a  tavolino a progettare la propria carriera. Da una parte perché non posso prevedere le proposte che mi arriveranno, dall’altra perchè se scegliessi un film solo per soldi o fame di successo non funzionerebbe: se emotivamente non riesco a dare niente, lo considero un fallimento.  

Non la vediamo spesso in ruoli comici, come mai?
Difficile trovare commedie che mi soddisfino. Per carità, aveva ragione Einstein nell’affermare che tutto è relativo, ma credo siamo d’accordo tutti nel constatare che vediamo tante commedie stupide oggi, troppe.   

Da che dipende secondo lei?
Semplice: è fin  troppo facile far soldi con una commedia banale e facilona. Molto più difficile invece rintracciare una commedia con elementi che dicano allo spettatore: “Occhio, che questo è un film necessario che parla proprio di te, della tua vita”. Non è solo questione di humor, una commedia sofisticata deve avere un bel ritmo, ma per arrivare al cuore della gente deve anche riguardare temi come la perdita, il dolore, la morte. Cinema di profondità e non di intrattenimento: è questo che cerco, quando faccio in un film.   

Ha recitato in pellicole come La banda Baader Meinhof, Il mio miglior nemico, Il quinto potere: sembra particolarmente attirato da film tratti da pagine controverse della nostra storia.  
 Mi interessano storie con un altro livello di drammatizzazione, mi interessa meno la fedelta’ storica: sono sempre stato dell’idea che un film sia uno stimolo per approfondire, non bastano sette euro per imparare qualcosa, bisogna aprire i libri, il cinema che diventa una lezione di storia e’ noioso. Piu’ interessante quel cinema che ti fa riflettere su accadimenti importanti.  

Ha lavorato con diversi attori e registi italiani, le piacerebbe bissare l’esperienza?
Molto, ho vissuto per un po’ di tempo a Roma e in generale mi trovo bene nel vostro Paese. Ho lavorato con Michele Placido in Vallanzasca, ho un ricordo stupendo della vostra Monica Bellucci, donna affascinante e carismatica con cui ho lavorato in L’eletto. E mi raccomando non parlatemi di quell’odioso di Pierfrancesco Favino… Scherzo: aver diviso con lui il set in World War Z è stato un onore, trovo sia uno degli attori più stimabili in assoluto. 

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13 Febbraio 2014

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