Dopo la Quinzaine di Cannes arriva anche alla Festa di Roma (Alice nella Città) il delizioso Azur e Asmar, il nuovo cartone di Michel Ocelot, che a Roma riceverà una menzione speciale dall’Unicef “per il messaggio di integrazione portato avanti negli anni attraverso il suo lavoro”.
Ocelot è francese ma ha trascorso l’infanzia in Guinea: esperienza a cui deve la sua straordinaria sensibilità per il continente africano e per il tema dell dialogo fra le razze e le culture già mostrata con le avventure di Kirikù, grande successo al botteghino e simbolo di cinema d’animazione all’europea.
Anche Azur e Asmar è una favola esotica che ha inizio quando i due protagonisti, il biondo Azur e il moro Asmar, sono allattati amorevolmente dalla stessa donna, madre dell’uno e nutrice dell’altro. I due fratelli di latte vengono ben presto separati dalla brutalità degli adulti, ma si ritroveranno molti anni dopo quando Azur deciderà di lasciare il suo paese alla ricerca di un’irraggiungibile creatura, la Fata dei Dijn, che sposerà colui che saprà trovarla nonostante i tanti incantesimi posti sul cammino. Tuttavia il ricco e raffinato Azur, appena giunto sull’altra sponda del Mediterraneo, diverrà vittima di un razzismo alla rovescia a causa dei suoi occhi azzurri (portatori di sventura secondo la superstizione locale) e dovrà fingersi cieco imparando sulla sua pelle cosa vuol dire essere discriminato. Impreziosito da disegni da “Mille e una notte”, e recitato in gran parte in arabo senza sottotitoli, per “mantenere nello spettatore la condizione di spaesamento dell’immigrante”, Azur e Asmar è coprodotto al 10% dalla Lucky Red di Andrea Occhipinti, che porterà il film nelle nostre sale il 10 novembre. Ocelot, che ha una “passione politica” per le lingue neolatine e dopo lo spagnolo ha deciso di studiare anche l’italiano, per “contrastare la dittatura anglofona che finirà per uccidere l’Europa”, ci ha raccontato il suo modo di lavorare e la sua concezione.
Lo stile del film è molto elegante e ricercato ma anche più “tecnologico” rispetto ai suoi film precedenti.
È vero, ho iniziato con le silhouette di carta perché era la tecnica meno costosa anche se ero sinceramente legato a quello stile di lavoro e ci ho messo parecchio per attraversare il Rubicone e passare al computer. Mi piace cambiare ma soprattutto ci tengo che un mio film sia bello. Questo è il mio film più caro, con 10 mln € di budget. Qui ho potuto fare due o tre cose che prima non potevo permettermi. La tecnica 3-D è più rapida e ha permesso di creare alcuni dettagli come i gioielli berberi e gli abiti dei personaggi, tutte meraviglie che mi sono state ispirate dalla lettura di un grande classico come “Le mille e una notte”.
Cosa pensa dell’animazione italiana?
Mi è piaciuto molto La freccia azzurra di Enzo D’Alò e credo che Bruno Bozzetto sia un vero genio, capace di creare film divertenti e buffi, nonostante le difficoltà produttive che certamente incontra. In Italia e in Francia è successo qualcosa di importante per quanto riguarda l’animazione, che non è più solo monopolio degli americani. Da tempo non vado a un festival del cartone, ma non mi piace quello che ho visto recentemente del cinema americano. Non per essere presuntuoso, ma io ho una forza che loro non hanno, nonostante le montagne di dollari. Io sono libero, non devo rispondere agli azionisti, non sono un servo dei consigli d’amministrazione.
Non ha avuto nessuna pressione dai suoi produttori?
I miei produttori, che vengono da Belgio, Francia, Spagna e Italia, mi hanno permesso ad esempio di lasciare i dialoghi in arabo senza sottotitoli: un lusso che non va dato per scontato ma che non ho dovuto lottare più di tanto per affermare. Era fondamentale per me che anche lo spettatore vivesse la condizione di difficoltà dell’emigrante, il sentirsi perduti di fronte a una lingua straniera e sconosciuta. Inoltre ritengo che per un bambino sia un’esperienza importante poter ascoltare il suono di un’altra lingua.
Crede che la tolleranza sia una conquista da raggiungere anziché un dato di partenza dell’essere umano, come si capisce guardando il film.
È duro pensare che siamo intolleranti per natura, ma è d’altronde vero che i bambini spesso sono spietati e non amano ciò che è diverso; d’altra parte mentre preparavo il film crollavano le Twin Towers. La mia educazione ebraico-cristiana mi ha spinto a essere gentile, consapevole che in un mondo delicato e rispettoso si vive meglio e io spero che il mio film riesca a trasmettere questo sentimento che non si può dare per scontato. Tuttavia non amo la parola “tolleranza”, perché secondo me non c’è bisogno della tolleranza per ammirare qualcosa di bello. Apparteniamo alla stessa razza; Cristianesimo e Islam sono quasi la stessa religione; ci sono scambi continui tra le nostre due culture. L’ideale sarebbe non avere bisogno di tolleranza. Azur e Asmar cerca di mostrare la vita come potrebbe essere: alla fine si può ballare tutti insieme e forse siamo più attratti da ciò che ci completa e ci manca.
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