“I miei film preferiti non sono quelli comici, il cinema mi piace tutto. Ai primi posti colloco il nostro neorealismo e Paul Thomas Anderson (Magnolia). Sono appassionato dei film dei fratelli Coen, delle commedie come A qualcuno piace caldo che purtroppo non si fanno più, o delle pellicole di Troisi e di Verdone”.
Massimo Venier, 35 anni, cresciuto in televisione per quasi un decennio con la Gialappa’s e Mai dire goal – “Fu un periodo bellissimo” – l’ha lasciata nel ’97 con incoscienza per il cinema, diventando con il trio Aldo, Giovanni e Giacomo lo sceneggiatore e il regista dei loro film, primati assoluti del box office (40, 60, 75 miliardi). “Preferisco scrivere piuttosto che girare, accetto la regia per un sorta di spirito di servizio nei confronti della sceneggiatura”.
Venier e il trio ci riprovano con La leggenda di Al John e Jack, in uscita venerdì 13 dicembre, prodotto da Paolo Guerra per Medusa Film e Agidi, costato 10 milioni di euro.
In scena le avventure rocambolesche di 3 gangster maldestri e agitati in fuga dal boss che li vorrebbe morti, in una New York fine anni ‘50. Nel cast anche Aldo Maccione, Antonio Catania, Ivano Marescotti, Giovanni Esposito, Giovanni Cacioppo.
C’è un legame tra La leggenda di Al John e Jack e i film precedenti?
Nessuno. Per atmosfere e personaggi è simile a Tre uomini e una gamba, ma se quel film era un lungo sketch, questo è un film vero. Molto si è insistito sull’atmosfera e sull’ambientazione dei gangster movies anni ’50. In quel mondo ricreato il più realisticamente possibile abbiamo collocato i 3 personaggi.
Chi sono Al John e Jack?
Tre gangster cialtroni e pasticcioni, più innamorati dell’idea di essere gangster che non idonei al compito, non ne hanno lo spirito.
Che genere di cinema è il vostro?
Difficile dare una definizione. Se esistesse il genere comico natalizio, i nostri film non vi rientrerebbero, a cominciare dal ritmo. Ma non sono neppure commedie. La diversità del nostro cinema è tutta affidata alla comunicatività di Aldo Giovanni e Giacomo. La nostra forza sta nella loro capacità di arrivare direttamente alle persone, un dono che pochi hanno.
Da subito avete deciso di girare a New York?
La scelta è venuta con le possibilità economiche e dopo una serie di tentativi falliti: dalle scenografie non adatte di Gangs of New York di Martin Scorsese ad alcune città americane più abbordabili per i costi. Io che odio i sopralluoghi, ho trovato New York una città splendida per la ricerca dei set.
Il film uscirà negli States?
Quando ero a New York ero un po’ invidioso che L’ultimo bacio fosse programmato nelle sale americane, vorrei togliermi questa soddisfazione. Il nostro film, come è accaduto per il precedente, verrà portato ai festival per essere venduto all’estero, ma questi appuntamenti difficilmente aiutano.
Contento del cast?
Più che soddisfatto della scenografia curata da Eleonora Ponzoni, una delle migliori in questo settore, spero che qualcuno se ne accorga. E anche delle musiche composte da Andrea Guerra nonché dei brani di repertorio, in particolare lo swing italoamericano anni ’50 dei Good Fellas.
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