Settantenne ma immortale. Massimo Troisi il 19 febbraio avrebbe compiuto 70 anni. Sembra incredibile, perché ce lo ricordiamo eternamente giovane. Il suo cuore malato lo ha portato via troppo presto, il 4 giugno del 1994, a poche ore dall’ultimo ciak de Il Postino. Aveva 41 anni, e non si era risparmiato un solo istante, nonostante avesse problemi cardiaci fin dall’infanzia, forse perché sentiva di dover dire tutto e subito.
Soprattutto poeta, come lo definì la bella mostra voluta da Luce Cinecittà nel 2019 a Roma e poi ripresa nella sua Napoli, a Castel dell’Ovo, nel 2020/21. Poeta e artista sensibile, ironico, che oggi viene ricordato al Festival di Berlino dal conterraneo Mario Martone con il documentario Laggiù qualcuno mi ama, mentre un altro documentario, di Marco Spagnoli, va in onda in prima serata su Rai3 il 17 febbraio, per poi passare su RaiPlay dal 19 febbraio.
Ultimo di sei figli, legatissimo al padre ferroviere, al centro di una famiglia allargata a cui andava stretta la casa di Via Cavalli di Bronzo a San Giorgio a Cremano, Massimo si ammalò di cuore fin da ragazzino. Ma contemporaneamente si innamorò dell’arte. A 15 anni debuttò sul palco parrocchiale con Lello Arena e altri amici. Studiava da geometra, ma la passione per la recitazione era più forte. Due anni dopo vestiva già la maschera di Pulcinella in una farsa di Antonio Petito a cui aveva impresso un svolta rivoluzionaria. “A me questa figura pareva proprio stanca. Pensavo che bisognasse essere napoletano, ma senza maschera, mantenere la forza di Pulcinella: l’imbarazzo, la timidezza, il non sapere mai da che porta entrare e le sue frasi candide”.
Insieme agli amici Lello Arena ed Enzo Decaro cominciò ad avere i primi successi: il gruppo divenne famoso con il nome di La smorfia e arrivò in televisione nel 1977 a No stop. Si sciolsero nel 1981 ma l’eterno bambino era già una star col suo parlare strascicato, la calzamaglia nera, la comicità surreale. Scommise su di lui il produttore Mauro Berardi: nel giro di un anno, con la complicità di Anna Pavignano – che divenne la sua compagna – e di Vincenzo Cerami, realizzò il suo primo film, rimasto proverbiale, Ricomincio da tre. Girato in sei settimane con un budget di 400 milioni di lire, uscì nelle sale italiane il 12 marzo 1981 e conquistò immediatamente il pubblico (14 miliardi di lire al botteghino), tanto che una sala di un cinema di Porta Pia, a Roma, tenne in cartellone lo spettacolo per più di seicento giorni. Vennero anche i riconoscimenti: due David di Donatello, tre Nastri d’argento, due Globi d’oro della stampa estera.
Tra televisione e cinema (apparve come attore in No grazie, il caffè mi rende nervoso e diresse il quasi profetico Morto Troisi, viva Troisi) era ormai nell’empireo partenopeo a fianco di Eduardo e Totò. Anche così si spiega il suo ritorno dietro la macchina da presa solo nel 1983 – quando tutti premevano perché cavalcasse il successo dell’esordio – con Scusate il ritardo. Da allora avrebbe diretto appena quattro film in dieci anni, anche se Non ci resta che piangere è firmato insieme a Roberto Benigni e Il postino – che gli valse due candidature postume all’Oscar come miglior attore e per la sceneggiatura – vede Michael Radford accreditato alla regia.
Nove le apparizioni da attore (inclusi i suoi film) tra cui meritano attenzione soprattutto le tre sotto la guida dell’amico e quasi padre Ettore Scola che costruì su di lui un vero gioiello come Che ora è (in coppia con Mastroianni), dopo Splendor e prima de Il viaggio di Capitan Fracassa che lo riportò ai fasti della commedia dell’arte. Rimase tra loro, oltre all’immenso affetto, anche un progetto mai realizzato, Un drago a forma di nuvola.
La scelta di interpretare Il postino (che aveva intensamente voluto dal romanzo del cileno Antonio Skàrmeta Ardiente paciencia un dono della compagna Nathalie Caldonazzo) fu un azzardo voluto: Troisi stava molto male e doveva sottoporsi a un nuovo intervento al cuore, ma volle finire il film con il “vecchio cuore”. Passava notti insonni a rivedere il backstage girato dal nipote Stefano Veneruso e nell’ultimo brindisi, a Cinecittà, disse “Non vi scordate di me”.
Promessa mantenuta dal suo pubblico, vecchio e nuovo, che continua ad amarlo.
Adesso sorgerà anche un’Accademia di arti espressive per ricordarlo, iniziativa sostenuta dal Comune di Napoli e finanziata dalla Città metropolitana, ideata da Lello Arena che per l’occasione ha voluto la collaborazione di Enzo De Caro. L’Accademia avrà sede a Bagnoli e potrà accogliere 100 artisti, senza limiti d’età, a titolo completamente gratuito.
La mini serie debuttava il 19 dicembre 1964, in prima serata su Rai Uno: Lina Wertmüller firma la regia delle 8 puntate in bianco e nero, dall’originale letterario di Vamba. Il progetto per il piccolo schermo vanta costumi di Piero Tosi, e musiche di Luis Bacalov e Nino Rota
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Il 10 dicembre 1954 esplode il mito popolare di Alberto Sordi, l’Albertone nazionale. È la sera della prima di Un americano a Roma