TORINO – Se fare un mestiere nel cinema sembra permetta di vivere mille vite, per le mille storie e i mille personaggi che s’animano nella fantasia che lo stesso permette, l’esistenza di Piero Umiliani – riconosciuto maestro di colonne sonore del ‘900 – sin dalla sua reale biografia sembra abbracciare in sé decine e decine di esistenze vissute, che con il cinema, poi, si sono moltiplicate all’ennesima potenza: Umiliani ha sempre suonato, anzitutto. L’ha fatto nel dopoguerra nelle orchestrine jazz degli Alleati, l’ha fatto da pioniere della musica elettronica, finché la vita non gli imposto un fermo, colpa di un’emorragia cerebrale a metà degli Anni ’80.
Il Tocco di Piero – Le mille vite di Piero Umiliani di Massimo Martella, prodotto e distribuito da Luce Cinecittà e al TFF Fuori Concorso, racconta questo prisma di storie ma non solo, anche tutte le altre “mille”: la prima colonna sonora italiana jazz è di Piero Umiliani, quella dei I soliti ignoti di Mario Monicelli; suo uno dei tormentoni universali di sempre: Man’ha Man’ha… . Il jazz, la lingua per lui prediletta, suonata con tutti i grandi musicisti italiani del genere, ma anche con Chet Baker, Helen Merrill, Gato Barbieri.
Negli Anni ’90, tempo del faticoso recupero dalla malattia, la sua musica è stata riscoperta nelle discoteche, e i suoi suoni hanno iniziato a essere saccheggiati e campionati dai rapper anglosassoni. Il talento sì, indubbio, ma anche la curiosità, hanno fatto di Piero Umiliani l’essere Piero Umiliani, il cui tocco gentile s’è sempre distinto, una cifra stilistica personale pur nella frequentazione di generi differenti e nella contaminazione degli stessi, al contempo sofisticato e pop.
Massimo, qual è il segreto dell’eternità della musica di Piero Umiliani?
È una domanda che ho fatto anch’io ai miei interlocutori, soprattutto musicisti che hanno collaborato con lui. Ciascuno ha dato una risposta diversa e l’idea che mi sono fatto io sposa un po’ la tesi di Enrico Pieranunzi, secondo cui, essendo Umiliani un’anima molto curiosa, avendo sempre conservato un animo jazzista, del jazz ha conservato la voglia di sperimentare, non attenendosi alle regole ma improvvisando, portandolo a soluzioni inedite, quelle che hanno scavallato il tempo; erano ‘fuori tempo’ nel momento in cui erano state fatte e poi riescono a essere universali. Poi, lui aveva uno straordinario senso della melodia. Inoltre, molta della musica realizzata in quegli anni era fatta con strumenti reali, non digitali, e questa cosa ha un carattere di originalità perché è imperfetta: è il fascino dell’imperfezione e della ricerca continua che lo rende sempre sorprendente.
Di lui, anche nel titolo, si parla riferendosi al suo ‘tocco’, una gentilezza artistica sinonimo di talento: quanto parallelismo c’era tra la personalità dell’artista e quella della persona?
C’è una forte corrispondenza, lui era un giocherellone nella vita e nella musica. Giocherellone nel senso che amava sperimentare, è uno che improvvisa e in questa improvvisazione mette creatività e gioia. Il segreto di Man’ha Man’ha…, per dire, è l’essere divertente, si presta alle gag, tanto che io stesso ce ne ho costruita sopra una medesima, cercando di riprendere quello spirito.
I soliti ignoti è un caposaldo del cinema, di certo la sua colonna sonora contribuisce a dare personalità al film: qual è la storia di questa colonna sonora? C’è qualche aneddoto sulla composizione in relazione a Monicelli?
Certo, Monicelli voleva una colonna sonora jazz perché voleva fare una versione italiana comica di un film che aveva avuto grande successo, che era Rififi, un polar francese: voleva fare un Rififi maldestro, tragicomico: quando andò a cercare un autore per la colonna pensò di buttarsi sul jazz e conosceva Armando Trovajoli, che era già affermatissimo e aveva il jazz nella sua formazione musicale; quest’ultimo pensò che il film, per altro con un attore drammatico come Gassmann, sarebbe stato un non sense, così ha sbolognato la patata bollente e Umiliani, che per il cinema aveva fatto solo le musiche per un documentario, dei fratelli Taviani.
Infatti, perché Umiliani s’avvicina al cinema e perché il cinema sente il bisogno del suo ‘tocco’?
Sono due cose differenti. Umiliani viene pescato da Monicelli, che ascolta un suo disco precedente, lo apprezza e allora decide di provare; quando Umiliani viene chiamato, inoltre, ha già dei brani scritti, però mai editati, e li utilizza per il film facendo un lavoro di adattamento ai passaggi del film. Non ci credeva nessuno ma il film ebbe un successo enorme e da quel momento tutti volevamo Piero Umiliani. Perché vogliono il jazz, più adatto a raccontare quel tempo: le colonne di quel periodo venivano dalla tradizione sinfonica e da quella romantica-leggera degli Anni ’30, ma serviva qualcosa di nuovo e il jazz ti porta in un altro clima, inoltre ed un suono parlato dagli italiani, che amavano lo swing all’italiana, ascoltavano Natalino Otto o Buscaglione e Carosone. La differenza è che quando Umiliani fa la colonna sonora per Monicelli non fa swing ma fa pop! Quindi, sposta in avanti la lancetta del tempo di parecchio.
La malattia ha dettato uno stop alla sua possibilità di creare: per l’essere umano e per l’artista, che ricaduta c’è stata sulla produzione musicale? Cioè, lui come ha affrontato/accettato/adattato la condizione di salute alla musica?
È un capitolo triste della sua vicenda biografica. Quando comincia a recuperare dall’ictus e si rende conto che non riesce più a suonare cade in crisi depressiva, viene curato, pare ci siano stati anche dei tentativi di suicidio, raggiunge un po’ il fondo e a quel punto interviene una sorta di piccolo miracolo: aveva una piccola casa sull’isola semideserta di Giannutri, ed era un amante dell’andare in barca, ma non la sapeva condurre al meglio, spesso capitava rimanesse bloccato in mezzo al mare. Lui vendette la barca e disse: ‘prenderò una casa il più possibile somigliante a una barca’, ed ecco la casa di Giannutri, all’epoca abitata da sei persone. Lui, quando sta male, usa l’isola e quella casa per ritrovarsi, come rifugio: ci andò da solo, con la famiglia preoccupatissima, e probabilmente è stato lì che ha ripreso a suonare sapendo che nessuno l’avrebbe ascoltato e il professore che lo seguiva disse fosse un bene lasciarlo andare, e lì ha recuperato. Poi, improvvisamente, la sua musica è stata riscoperta dai giovani, sono iniziate le ristampe, che andavano a ruba: lo chiamano a suonare nei posti più incredibili, anche nei centri sociali, con un pubblico giovanile in adorazione, con la definizione di ‘maestro della lounge music’, che lui non sapeva nemmeno cosa volesse dire, e quella fu la vera rinascita emotiva. Capisce di aver fatto qualcosa che andava al di là della sua stessa percezione. Gli ultimi anni di vita così sono sereni, riesce a pubblicare un altro disco, con l’aiuto di amici come Giovanni Tommaso e Paolo Fresu, con la figlia Alessandra alla voce. Poi, nel 2001, arriva un infarto.
Il film ‘è suonato’ da Piero Umiliani: perché questa scelta artistica per la colonna sonora?
È un film non tanto sulla biografia di Piero ma sulla sua musica, che doveva essere protagonista e per me, se parliamo di jazz, deve essere live, per cui volevo le session fossero protagoniste del film. Ho individuato due periodi della sua carriera e chiesto a Enrico Pieranunzi, che era stato pianista in alcune sue colonne sonore, di riarrangiare alcuni brani, e con un gruppo di collaboratori, tra cui la bravissima cantante milanese Simona Severini, hanno reinterpretato la parte jazz; quella invece degli Anni ’60 e ’70 l’ho affidata ai Calibro 35, una formazione assai nota, nata proprio nello spirito del reinterpretare la musica delle colonne sonore di genere del periodo e che avevano già inciso nel loro primissimo disco un pezzo di Umiliani, Cinque bambole per la luna d’agosto. La ciliegina sulla torta è la collaborazione con Carlotta Proietti che recupera un brano che s’intitola Il valzer della toppa: Umiliani comincia a fare musica per la canzone d’autore e Laura Betti, all’epoca una chansonierre circondata da un nugolo di letterati, si fa scrivere delle canzoni, chiedendo a Umiliani di musicarle; e qui c’è il più celebre, scritto da Pasolini, diventato famoso grazie a Gabriella Ferri e che proprio Carlotta aveva inserito in un suo spettacolo, per cui ho preso il coraggio e lei ho proposto di farlo per me, così è nato un cameo molto particolare.
Le mille vite di Piero Umiliani sono narrate dalla famiglia, oltre che dai ricordi affettuosi e storici del mondo della musica e del cinema: Vincenzo Mollica, Dario Salvatori, Pierpaolo De Sanctis, Luca Sapio.
L’approfondimento video: guarda qui.
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