Classe ’96, Massimiliano Caiazzo ha già interpretato ruoli importanti sul grande schermo: nel 2021 in School of Mafia di Alessandro Pondi e nei mesi scorsi in Piano Piano di Nicola Prosatore (in sala dal 16 marzo prossimo, ndr), oltre che in quattro cortometraggi. Già dal 2016 ha recitato in diverse serie tv: Furore2 di Alessio Inturri, Filomena Marturano di Francesco Amato, ma soprattutto, dal 2020, è il Carmine Di Salvo della serie Rai dei record: Mare Fuori, appena andata in onda per la sua terza stagione con 12 milioni di visualizzazioni, diretta da Carmine Elia, Milena Cocozza e Ivan Silvestrini. Nel 2020 ha vinto il ‘Giffoni Explosive Talent Award’ e il Premio ‘Kinèo Giovani Rivelazioni’ a Venezia 77. Nel 2021il Premio ‘Meno di Trenta’ per il Miglior Attore di Serie TV.
Sei molto giovane ma il tuo è già un volto noto sia in tv che al cinema: quando hai iniziato a fare l’attore?
A lavorare proprio ho iniziato sei anni fa, a vent’anni. Ma a studiare ho cominciato quando ne avevo diciotto, prima alla scuola Méliès con Gianfelice Imparato, poi in vari workshop e laboratori di recitazione. Ora studio anche al DAMS.
In questi giorni sei molto impegnato con il film che stai girando, di che si tratta?
Sto lavorando a Uonderbois, una serie per Disney+, in effetti uno dei personaggi più divertenti ma anche più difficili che abbia interpretato fino ad ora: un ragazzo di 25 anni, che vive nei sotterranei di Napoli.
Il grande pubblico – soprattutto quello dei tuoi coetanei – ti conosce per Mare Fuori, la serie Rai iniziata nel 2020 che continua tuttora a registrare milioni di visualizzazioni. Tra poco inizierai le riprese della quarta stagione. Come è stato lavorare in un progetto così importante che ha riscosso un tale successo?
È stato impegnativo ma soprattutto è stato molto bello. Una cosa costruita in tre anni di lavoro, ed è stato anche bello vedere le persone empatizzare tanto con le storie che raccontiamo. Non è un caso che anche noi attori ora siamo amici anche fuori, nella vita: siamo una bella squadra, ognuno coi suoi impegni, ma appena possiamo ci vediamo. Il successo non è stato improvviso, già la prima stagione ha avuto un discreto seguito, la seconda è stata quella che è realmente esplosa tra Raiplay e Netflix, mentre nella terza abbiamo intercettato il pubblico che già ci seguiva da tempo. Ci ha fatto molto gioco il fatto che la storia si sia evoluta molto, che noi attori siamo cresciuti tanto… quindi è un successo che siamo riusciti a coltivare nel tempo. Sicuramente ci ha fatto molto piacere, ma siamo anche consapevoli che il successo è una cosa che abbiamo costruito, ma non abbiamo mai cercato.
In che senso?
Perché dalla prima stagione cerchiamo di raccontare le storie di questi personaggi in maniera assolutamente sincera, a volte anche scomoda e disturbante. E credo che il successo sia proprio la conseguenza di un certo tipo di sincerità, di volontà di mettersi in gioco… Questa è una cosa che accompagna il lavoro in Mare fuori, ma anche altri progetti in cui molti di noi si impegnano e si confrontano.
Quanto è importante questo tipo di rischio per un attore, per te in particolare? il voler andare così a fondo nella ricerca dell’autenticità?
Io penso che se uno sceglie di voler fare questo lavoro deve a tutti i costi riuscire in questo… trovo che sia uno degli obiettivi primari. Perché la cosa più importante è portare al pubblico il messaggio di chi ha scritto la storia, il perché è stata scritta.
Il tuo è un ruolo non facile. Quello di Carmine Di Salvo, uno dei ragazzi dell’Istituto Penale Minorile di Napoli, cresciuto in una famiglia camorrista. Qual è la cosa che hai cercato di curare di più quando ti sei approcciato al suo personaggio?
Il suo bisogno di protezione, di essere protetto, che lo porta a proteggere gli altri.
C’è un’evoluzione molto evidente nel personaggio di Carmine: dal buio totale del suo dolore, piano piano ritrova un po’ di luce e diventa quello che dà conforto e speranza agli altri.
Carmine è un ragazzo che ha subito un lutto molto importante, lo ha tutto dentro e lo ha subito da molto giovane, quindi si è immerso in un dolore di un certo tipo. Ovviamente ne esce, ma la sua attitudine ad aiutare gli altri è una cosa che si porta dalla prima stagione. Forse nella seconda questa caratteristica la vediamo meno… ma la vediamo comunque, mentre nella terza diventa proprio uno dei perni della sua personalità, perché comunque il personaggio cresce e inizia a ritrovare un certo tipo di speranza nei confronti della vita, sì. La speranza.
Parlando di crescita, cosa ti ha lasciato addosso sua vicenda personale?
Parliamo di un personaggio che ho coltivato, analizzato, siamo praticamente cresciuti insieme. Che ha anche sancito l’inizio della mia carriera. Quindi sì, mi ha lasciato tantissime cose, sicuramente ho avuto la possibilità di scavarmi dentro, mi sono potuto fare tante domande, ho conosciuto molto meglio la mia sensibilità.
Amore e morte tornano e ritornano nelle storie estreme dei ragazzi di Mare fuori, in quello che dalla notte dei tempi è il più universale degli archetipi letterari. Cosa ha rappresentato per te?
Basta pensare al personaggio di Carmine, che entra in carcere perché realmente colpevole di un omicidio, e all’interno del suo processo di crescita sceglie e continua a scegliere un’altra strada. Sono archetipi enormi, quando si parla di amore di strade ce ne sono centocinquantamila. L’amore è una cosa che può essere semplicissima, come mangiarti il tuo piatto preferito perché ti stai volendo bene in quel momento. Come può essere una cosa veramente complicata, ad esempio quella di amare la figlia del boss del clan rivale della tua famiglia, mentre tu sei proprio la persona che vuole uscire da tutto questo.
Cosa ti fa meravigliare di più nell’interpretazione di un attore?
Ci sono dei lavori che sono davvero molto veri, a volte quasi disturbano per questa autenticità. Penso ad esempio a quelle trasformazioni fisiche impressionanti, che tra l’altro sono anche una cosa sulla quale cerco di lavorare… ma quello che proprio mi fa meravigliare sono i personaggi inediti, sai quelle cose in cui dici ‘ma come è arrivato a fare una cosa del genere?’ Parlo di quelle cose che non hai mai visto prima, ad esempio il Jocker di Joaquin Phoenix (di Todd Phillips, 2019) è un’interpretazione che mi ha fatto davvero meravigliare, perché di jocker ne abbiamo visti tanti, ma nonostante questo il suo è stato unico.
Il tuo rapporto con i registi della serie, che negli anni sono cambiati.
Ognuno dei registi portava un punto di vista, la sua visione sulle storie che raccontavamo, di conseguenza anche questo ci ha aiutato per poter cambiare le modalità del racconto, senza mai però snaturare il progetto.
Le offerte non ti mancano, stai per uscire al cinema con Piano Piano, mentre continuano le riprese di Uonderboi… ma c’è un prossimo progetto in particolare, un tipo di personaggio o di film che vorresti tanto fare, che ti piacerebbe ti proponessero?
Quello che mi piacerebbe di più in assoluto non lo dico per scaramanzia – e ride. Mi piacerebbe lavorare con tantissimi registi, anche diversi tra di loro, ad esempio mi piacerebbe lavorare a personaggi con problemi fisici: a qualcosa che mi aiutasse e mi sfidasse anche da quel punto di vista, per raccontare anche quei mondi lì.
Per il cinema o anche per le serie?
Per entrambe le cose. È ovvio che un film, durando meno di una serie, può esser fatto con una cura maggiore, ma il mio contributo personale non cambia: così come cerco di restituire un certo tipo di autenticità ad un personaggio di una serie, faccio lo stesso per quello di un film, o di uno spettacolo teatrale, per me non c’è differenza.
Tu sei anche autore di uno spettacolo teatrale.
Sì, anni fa, Diario di un bambino cresciuto: una delle mie prime volte in assoluto sul palco. È una cosa che ho scritto e interpretato io. Mi piace molto scrivere, scrivo tanto, ogni giorno.
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