Ippolita Di Majo, Marianna Fontana ed Eduardo Scarpetta saranno gli ospiti della serata in onore di Mario Martone che il 4 luglio riceverà il Premio Fiesole ai Maestri del Cinema 2021. Un premio prestigioso, voluto dai critici toscani del SNCCI. La serata, in cui verrà proiettato L’amore molesto (1995), è il momento culminante di un anno di studio, sfociato anche nel volume L’intelligenza delle cose – Il cinema di Mario Martone a cura di Roberto Donati (Edizioni ETS). Il regista, che unisce nel suo percorso teatro e cinema senza mai interrompere la proficua commistione di saperi tra questi due ambiti, ha incontrato il sindaco di Fiesole Anna Ravoni, Il direttore artistico del Premio Massimo Tria, il coordinatore del Gruppo toscano dei critici Marco Luceri, e alcuni giornalisti via zoom.
Nella serata al Teatro Romano sarà affiancato da due giovani interpreti del suo cinema, la Marianna Fontana di Capri-Revolution, e Eduardo Scarpetta dell’ancora inedito Qui rido io, erede della dinastia Scarpetta/De Filippo.
Sono due attori giovani perché i giovani rappresentano il futuro. In Capri-Revolution avevo un cast sotto i 30 anni, nel Sindaco del Rione Sanità c’erano molti giovani, tra cui il protagonista Francesco Di Leva. Così come nel corale Qui rido io il non ancora trentenne Eduardo Scarpetta ha il ruolo di Vincenzo Scarpetta, figlio del capostipite Eduardo, incarnato da Toni Servillo.
Ippolita Di Majo è sua moglie e sceneggiatrice di tutti i suoi ultimi lavori.
Ippolita, storica dell’arte, venne da me coinvolta nel lavoro iconografico per Noi credevamo e poi iniziò a scrivere con me a partire da Il giovane favoloso. Collabora in prima persona anche ai miei lavori teatrali, per esempio l’adattamento de Il filo di mezzogiorno di Goliarda Sapienza, che ho portato in scena e che spero diventerà anche un film. Le donne contano molto e da sempre nel lavoro che conduco.
Una delle sue cifre è proprio la commistione feconda tra cinema e teatro.
Un tempo creava disorientamento nei critici, ma via via è stato compreso. Io comincio sempre con una tabula rasa, senza pensare a uno stile, che viene poi dalla pratica del fare, rossellinianamente. Come diceva Pasolini, il regista ha attorno a sé la realtà. E le persone. La relazione con gli altri mi trasforma, cerco sempre di stimolare la creatività dei miei collaboratori, lavoro in gruppo, fin dagli anni ’70. Anche per La Traviata e Il barbiere di Siviglia si sono creati dei collettivi e c’è stato scambio tra cinema e teatro, per una sorta di cinema dal vivo. Non sono film opera, ma film live, una risposta al bisogno di vedere un’opera in casa durante il coronavirus.
La pandemia cosa ha cambiato nel rapporto tra cinema o teatro e pubblico?
Questi due anni di isolamento forzato e rapporti mediati non potevano non lasciare il segno. Siamo al centro di una trasformazione, certo accelerata dalla pandemia, ma che era già in atto. Gli schermi erano già in crisi e lo streaming in ascesa. E’ difficile dire cosa accadrà. Ma abbiamo ancora bisogno della sala, della risata collettiva e del respiro comune. Non si dovrebbero richiudere i cinema, anche se ci dovesse essere un malaugurato ritorno dei contagi. Sono luoghi controllabili, dove gli spettatori non corrono rischi, come ha dimostrato la Spagna. Non ho nulla contro lo streaming, a cui abbiamo affidato Il sindaco del Rione Sanità con buoni risultati, ma penso che le generazioni future abbiano diritto al grande schermo. Il governo deve aiutare gli esercenti e gli esercenti devono tenere le sale in condizioni ottimali.
Qui rido io è pronto per essere visto.
Fa parte di una enorme quantità di film in cerca di platee. E’ un film pensato per il grande schermo, con la fotografia di Renato Berta, un romanzo familiare e teatrale, sulle dinastie Scarpetta e De Filippo, un’opera collettiva. Stavamo lavorando con Ippolita a una serie televisiva su Eduardo, dove avevamo messo la ricchezza della Napoli di inizio Novecento: Viviani, Totò, la canzone napoletana. La serie non s’è potuta fare ma l’idea è rimasta. Eduardo Scarpetta è un personaggio immenso, misterioso e ineffabile che pone anche la questione della paternità negata.
Come nacque il suo primo film, Morte di un matematico napoletano?
All’improvviso. Avevo 30 anni, venni a contatto con la storia di Renato Caccioppoli, morto suicida, e immaginai subito come un film i suoi ultimi giorni di vita. Anche la presenza di Carlo Cecchi fu determinante. Nessun produttore credette nel progetto, allora decidemmo di lanciarci da indipendenti nella produzione, con Teatri Uniti. Questo ci diede grande libertà. Chiamai Luca Bigazzi per la fotografia e Fabrizia Ramondino, grande scrittrice napoletana, lavorò con me al copione. Venne fuori che Fabrizia era amica di Carlo Cecchi. Nel film, che è del ’92, c’era anche Toni Servillo che è poi diventato quello che è. Oggi però, purtroppo, Il matematico non può essere proiettato, non si riesce a restaurarlo per problemi di diritti che vanno sciolti. Anzi, lancio un appello alle società coinvolte in questo pasticcio.
Morte di un matematico napoletano fa parte di una trilogia su Napoli, insieme a L’amore molesto e Teatro di guerra.
Sono tre immagini diversissime di Napoli. L’amore molesto nasce anche per reazione a Morte di un matematico, dove c’era una Napoli sognata, anche per motivi di budget, la Napoli del 1959, che non avevamo abbastanza soldi per ricostruire, un luogo sospeso. L’amore molesto invece è un film di corpi, Teatro di guerra infine si muove tra teatro e cinema e potrebbe essere ambientato anche a Berlino o Marsiglia. Con L’odore del sangue e Noi credevamo mi sono allontanato da Napoli, per poi tornarvi, in parte, con il Leopardi del Giovane favoloso e pienamente con Il sindaco del Rione Sanità. A settembre comincio a girare un nuovo film proprio alla Sanità dal romanzo Nostalgia di Ermanno Rea con Pierfrancesco Favino. Ancora, in Qui rido io c’è la Napoli Belle époque, ma questo è un film di interni. D’altra parte sono rassegnato a essere considerato “un regista napoletano”. Da un lato Napoli è una città potente, come la New York di Scorsese, ma io penso a quello che racconterò, alla storia, alle persone, non tanto alla città, ogni storia è diversa come è diversa Napoli.
Ha citato il tema della paternità negata che appartiene in qualche modo anche a L’amore molesto, il film che sarà proiettato a Fiesole il 4 luglio. Un film che resta centrale nella sua filmografia e suggella una collaborazione artistica e umana importante come quella con Anna Bonaiuto.
Anna ha avuto un ruolo fondamentale nel mio approdo al cinema. In Morte di un matematico napoletano era la moglie di Renato, con L’amore molesto diventa protagonista. Mi diede una forte spinta alla trasposizione del romanzo di Elena Ferrante. Nel libro c’era questo personaggio femminile bellissimo, inedito, che si sganciava dal cliché della donna madre, moglie, sorella. Un personaggio forte come la Cristina di Belgioioso di Noi credevamo o la protagonista di Capri-Revolution, fino ai personaggi femminili di Qui rido io. La questione femminile /maschile per me è centrale. L’amore molesto poi segna anche il mio primo contatto con Eduardo. Il libro di Elena Ferrante, di cui all’epoca non si sapeva proprio niente, come anche adesso, ma allora ancora di più, arrivò da non si sa dove. Ma ci colpì. Mi ricordava cose della mia famiglia, dal lato paterno. Anche per Anna, che è di padre napoletano, era così. Rilessi Eduardo De Filippo perché c’erano temi familiari che risuonavano, un maschile doloroso nella società napoletana, in una piccola, infima borghesia, qualcosa che diceva molto sull’Italia. Scavava in pieghe nascoste della società, per un certo modo di parlare, di muoversi, di toccare. Anna ha dato un contributo enorme al film. Io sono un maschio napoletano nato alla fine degli anni ’50, lei aveva lo sguardo femminile e potevamo guardare allo stesso oggetto da due punti di vista.
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La motivazione del riconoscimento: “è un approccio sorprendente, commovente e innovativo al tema molto delicato dell'adozione”
"Costruisce ponti fra culture, generazioni e popoli”, si legge nella motivazione del riconoscimento, che per la prima viene attribuito a un regista che “si muove tra il più sofisticato cinema d'autore e l'attenzione per il pubblico”
La premiazione si terrà il 3 dicembre presso la sala Lo Schermo Bianco di Bergamo. La giuria include figure di spicco come la produttrice Elisabetta Olmi e il critico cinematografico Massimo Lastrucci