Maria Roveran: “Con il cinema indipendente si fa cultura”

In giuria al Bellaria Film Festival 2023, l'attrice veneta classe 1988 è sempre più un volto noto del cinema indipendente. Ma quest'etichetta non racconta a dovere i suoi molti impegni nell'arte


Maria Roveran presiede in questi giorni la giuria della sezione Gabbiano del Bellaria Film Festival 2023, dedicata alle opere prime del cinema indipendente. Un sottobosco, sempre più florido, che l’attrice veneta classe 1988 ha attraversato negli anni con grande passione, in cerca di un cinema che produce discorsi e cultura. Nel febbraio 2023 era in sala con I nostri ieri di Andrea Papini, ma il cinema, a cui arriva nel 2014 con Piccola Patria, è solo un frammento del suo sguardo sul mondo. “Un’attrice anomala”, l’ha definita in apertura al Festival la Direttrice Artistica Daniela Persico. L’abbiamo incontrata e, forse, abbiamo capito perché.

Di certo, Roveran vive un paradosso: mentre la fisicità dai toni duri la riporta a parti quasi esclusivamente drammatiche, una cosa su cui rimugina molto, bastano poche parole per scoprire la diversità dei volti che la abitano. “Fatemi fare una commedia”, riassume scherzando e sognando un cinema più coraggioso, “capace di qualcosa che non sia solo l’evidenza”. Musicista, sceneggiatrice, attrice. Ha cantato in ogni lingua, “mi faccio tradurre le canzoni e poi imparo come cantarle”, e infatti il 25 maggio sarà in scena al Teatro del Parco di Mestre con uno spettacolo in cimbro. Roveran è un fiume di creatività, ma ancora prima, è una professionista: le sue riflessioni sono pratiche e interrogano il cinema e l’arte su fatti che una personalità così ricca, guidata da un evidente entusiasmo, può aiutare a svelare.

Sei nella giuria della sezione Gabbiano, con Michelangelo Frammartino e Alessandro Del Re: quali sono le tue sensazioni e con quale metodo valuterai le opere prime in concorso

Spesso i Festival mandano i link per vedere i film da casa. Invece questa volta li vedrò tutti in sala e per me è un piacere immenso perché così la fruizione è totalmente diversa. Stamattina ho incontrato Michelangelo Frammartino e Alessandro Del Re e ci siamo organizzati su come gestire un po’ il tutto, per confrontarci alla fine delle proiezioni. Il tipo di cinema che ho avuto modo di vivere come esperienze lavorative è soprattutto di cinema indipendente. Per me è importante il lato tecnico sicuramente, ma non solo, c’è anche il messaggio e la narrazione. In questo momento penso che uno degli aspetti che mi affascina di più è quanto il cinema riesca a emozionare, far riflettere e muovere lo spettatore. Mi interessa confrontarmi con i miei colleghi, condividendo quello che a me ha mosso; le emozioni, le considerazioni di ciascun film, ma cercando di capire anche cosa è arrivato a loro e mettendomi in discussione. Per me la cosa più bella di una Giuria è questo. Sentiamo tutti una grande responsabilità. E poi devo dire che la cosa bellissima è anche poter vedere dei lavori pazzeschi che probabilmente in altri contesti non si trovano, perché il tessuto distributivo del cinema indipendente è particolarmente complesso e spesso claudicante.

Ieri la Direttrice Artistica Daniela Persico ti ha definito “un’attrice anomala”, inoltre c’è molta enfasi sul tuo rapporto con il cinema indipendente. Ti capita di desiderare di non essere ricondotta a contenitori o etichette che per quanto vaghe cercano di catalogare una carriera?

Ti dirò, per me non è facile non essere facilmente catalogabile. Io non faccio solo cinema indipendente, ma molto cinema indipendente. Vengo da quel percorso ed è sicuramente un percorso che mi appartiene di più a livello creativo e non è facile da gestire nella pratica della quotidianità. A volte penso che sarebbe molto più facile essere collocata in lavori mainstream. Concretamente ci sono dei benefici evidenti, che non hanno a che vedere con la fama e la notorietà. Non è facile far capire al pubblico cosa significhi fare questo lavoro in un momento in cui, appunto, il cinema indipendente subisce tante restrizioni e fa tanta fatica. C’è la difficoltà di mettere in campo concretamente le forze per realizzare un film indipendente. Quello di cui mi rendo conto è che devo ringraziare chi mi sta attorno e il pubblico. Vedo persone che danno un peso a questo tipo di cinema. Credo che il cinema indipendente abbia strettamente a che fare con il fatto di fare cultura e informazione. E questo per me è un valore aggiunto che ha un costo da pagare concretamente. Ma devo dire che sono molto grata del riconoscimento dell’essere anomala. Ieri mi hanno stupito le parole di Daniela Persico, perché penso sia una parola forte e l’ho vissuta in accezione positiva. Mi ha fatto sorridere.

C’è una praticità nelle tue parole che è molto interessante, una professionalità che è di certo dei migliori attori e delle migliori attrici, ma spesso manca nel racconto che dall’esterno si fa di questo lavoro

Infatti mia madre si stupisce. Arriva da una famiglia che non c’entra niente con il cinema e non sapevano che cosa volesse dire fare l’attrice. Io faccio un lavoro di preparazione, di studio, di organizzazione, che mi impiega tante ore a tavolino. Non se ne parla, di che cosa c’è concretamente dietro. La gente pensa che l’attrice sia quella che recita le battute, ma non è così per me. Non è questo il percorso che sto facendo e mi è sempre più chiaro. Forse è un’epifania. Vi giuro che io vivo un’inquietudine totale, perché sono nata così e perché questo lavoro mi pone tante domande. Vedo che il fatto che il pubblico non sappia cosa significhi essere attore o attrice mi spinge a volerlo comunicare, quindi questa è un’ottima occasione per raccontare il dietro le quinte. Che cosa significa andare a fare provini con dei super nomi, andare a fare l’acting coach sul set di un grossissimo regista, quindi ad affiancare degli attori e stare sul set in regia tutto il tempo. Adesso sto dirigendo un cortometraggio, continuo a fare delle cose molto diverse. È faticoso, però è anche molto bello. Io per esempio ai giovani vorrei dire questo, perché io non lo sapevo. Vengo da Favaro Veneto, un paese in cui vent’anni fa dicevi “attrice” e ti veniva restituito un immaginario stereotipato di quello che vuol dire fare questo mestiere. Poi io credo che ciascuno si possa creare la propria dimensione. Io sono molto androgina, per esempio, e questo aspetto mi dà e toglie tanto.

Racconti spesso che ti vengono affidati ruoli drammatici per ragioni legate al tuo aspetto e ai tuoi lineamenti. Si sta sprecando un’occasione, quindi. C’è forse una paura nel costruire racconti che sappiano anche essere dissonanti o comunque non vestiti come il pubblico si attende?  

Devo dire che fortunatamente in teatro mi hanno permesso tanto. Ho fatto progetti in cui sperimento lati completamente diversi, dalla sensualità all’ironia. Evidentemente sono stata incanalata in un percorso di cinema d’autore drammatico, anche se nella realtà sono anche una cazzona. Ma c’è questa associazione, “faccia” e “percorso già fatto”, per cui ti associano a quella roba lì e si perdono delle possibilità creative. C’è chi ha costruito una carriera su questo e grazie per averci dato un’immagine comunque pedissequa di quello che può essere l’essere quel personaggio. Ma io appunto faccio cose molto diverse, dal teatro a un concerto. Si va sulla facilità, si associano volti a emozioni in film a pacchetto.

C’è stata invece un’occasione in cui un film ti ha liberato, anche solo per un attimo, da quest’associazione? 

Ho fatto parte di un film, anche questo indipendente, che si chiama Beate. Una commedia soft, carina, in cui sono  una suora un po’ maldestra. È stato molto divertente. Ha creato una complicità con Donatella Finocchiaro e con Lucia Sardo. In teatro ho fatto la prostituta, la scema di turno, per migliaia di volte l’Opera da tre soldi. Ho lavorato con i Tre Allegri ragazzi morti per un progetto indipendente, punk rock. Ci sono stati dei registi che hanno tentato sì, ma ancora ce ne saranno spero. Io non ho un giudizio su questo, è importante. Io vedo quello che mi succede, però non è che giudico. Capisco che per facilità produttiva si prendano delle scelte. Mi piacerebbe che ogni tanto ci prendessimo la libertà di osare un po’ di più e così di andare ad approfondire e ricercare qualcosa che non sia l’evidenza. Ma noi viviamo per essere rassicurati, cerchiamo rassicurazioni, sempre. E quindi anche nell’arte cerchiamo di rassicurare lo spettatore e noi stessi. In realtà l’arte è un’ottima occasione per andare oltre la rassicurazione e sfidarci. Secondo me è manchiamo un obiettivo se rinunciamo a farlo. Se mi chiedessero di fare un film a luci rosse forse lo farei, per dirti. Non inteso come qualcosa di pornografico, ovviamente. Però l’elemento del corpo a me interessa tantissimo.

Hai un forte legame con la musica, l’altra tua vita artistica forse, che spesso però è rientrata anche nei progetti sui set o sui palchi. Come vivi queste due differenti espressioni artistiche?

La musica mi concede un ambiente in cui la produzione e l’immersione è totale. E come se sentissi di essere il regista di ciò che faccio. Quindi non ho una direzione dall’alto ma posso sentirmi libera di proporre moltissimo. E la musica per me è anche qui un linguaggio per arrivare al pubblico ed emozionare. E tanti mi chiedono se mi sento più attrice o più cantante, e non so rispondere. Per me sono due lati, due facce della stessa medaglia fondamentale. Lavoro molto nella recitazione usando la musica e lavoro molto per la scrittura dei testi, immedesimandosi come attrice nei personaggi che interpreto.  

 

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11 Maggio 2023

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