Un documentario animato, dove sperimentazione visiva e racconto del reale si muovono all’unisono in una storia di sangue, corpi, vissuti. Questo è The meatseller, cortometraggio di Margherita Giusti, classe 1991, premiato ai David di Donatello. In cinquina quest’anno c’era anche l’animatore Simone Massi, “segno che qualcosa sta cambiando anche per l’animazione italiana” racconta al Bellaria Film Festival. Al centro di The meatseller, prodotto da Luca Guadagnino, la storia vera di Selinna Ajamikoko, giovane ragazza nigeriana con il sogno di diventare macellaia come sua madre. Giusti ci ha raccontato come è nato il progetto e cosa l’attende ora.
Abbiamo maestranze bravissime, ma che lavorano all’estero per grandi Studi come Disney e purtroppo non sono riconosciute in Italia. Un’assurdità. In Italia non esiste un sistema produttivo che funzioni veramente e credo per questo di essere stata molto fortunata. Dopo aver scritto The meatseller ho trovato un produttore belga, che però non poteva produrre senza una coproduzione italiana. Quindi sono tornata e ho mandato tutto a Luca Guadagnino, che aveva già visto il mio film di diploma. Volevo soltanto una consulenza su come trovare una produzione in italia, ma gli è piaciuto il progetto e ha deciso di svilupparlo tutto lui. In pochi pensano all’animazione in questa maniera. Luca è stato un vero coach.
Al centro sperimentale mi sono diplomata insieme a due colleghe, Elisabetta Bosco e Viola Mancini, con un documentario animato. Subito dopo volevo realizzare delle pillole di animazione su storie di emancipazione femminile. Così ho conosciuto Selinna Ajamikoko, ho scritto il soggetto e fatto le interviste, in attesa di passare ad altre ragazze. Poi è scoppiato il Covid, sono tornata a Roma e ho deciso di realizzare questo progetto solo con Sellinna. Prima c’è stato un annetto di interviste e solo poi è nata la sceneggiatura. Ho fatto gli storyboard, da sola, trovato i soldi e poi è arrivato Luca Guadagnino, infine insieme alle colleghe del collettivo Muta Animation abbiamo iniziato la parte di animazione. Fin dal principio nasce per essere un progetto animato, sarebbe stato davvero molto complicato in altri modi. Il rapporto tra animazione e documentario è sempre molto sottile, i veri documentaristi probabilmente schifano l’animazione. Ho condensato tantissimo, perché la storia è molto pesante. È un po’ simbolico, però tutto quello che succede in realtà è vero. Io ho solo aggiunto qualche elemento onirico, anche per preservare la protagonista.
Credo di sì. Arriviamo sempre un po’ dopo la Francia, però ci arriviamo. Semplicemente il fatto che Luca Guadagnino volesse produrre un film d’animazione è indicativo, e anche Zerocalcare con la sua serie ha aiutato. Secondo me la richiesta del pubblico è forte, perché arriva da fuori. Anche il mondo del fumetto ha avuto un’esplosione negli ultimi dieci anni. Piano piano arriveremo, ma il problema è prima di tutto economico. L’animazione costa troppo per il nostro cinema.
Io tendenzialmente faccio 2D. Mi è piaciuto molto lavorare sulla carta, una cosa che vorrei continuare a fare. Ma se mi sposto sul lungometraggio non posso fare 90 minuti di sperimentazione. Tra l’altro, è pieno di donne nell’animazione, soprattutto quella 2D. Lo noto molto ai Festival, ma è un po’ così da sempre. Forse perché è un mondo più chiuso e sereno rispetto ai set normali.
Ho fatto 6 anni come aiuto regista e sono stata davvero male. Ero molto giovane, intorno ai 20 anni. L’animazione mi ha salvato. È un ambiente competitivo, ma più sano rispetto al set. Io principalmente ho fatto fiction e quelli sono set dove non si riesce a imparare reciprocamente. Nell’animazione ti senti sicura perché è un ambiente protetto. In realtà è un peccato che le donne non si sentano troppo sicure sul set, ma credo che anche questa cosa stia cambiando. Spesso le ragazze non hanno punti di riferimento sul set.
Nasce perché io, Elisabetta Bosco e Vera Mancini, abbiamo fatto il nostro film di diploma insieme e volevamo continuare a lavorare come gruppo. Quando siamo partire purtroppo è scoppiato il covid e ognuna era a casa propria. Facevamo una call una volta ogni 8 giorni, piano piano abbiamo deciso il nome, poi il logo e così via. Ognuna di noi è specializzata in cose diverse. Quest’anno però abbiamo chiamato anche Elisa Bonandin, che ha fatto sempre con noi un altro corto di diploma, e siamo sempre state tutte insieme. Non siamo tutte registe, abbiamo intenzioni diverse rispetto all’animazione, ma in qualche modo funzioniamo, anche se poi alla fine non siamo nulla ancora, quattro freelancer insieme…
Il sogno c’è, solo che è un po’ complicato, perché per sopravvivere ognuna di noi lavora ad altro. Mi è piaciuto molto avere a disposizione un team per The Meatseller. Con Muta c’è la possibilità di fare entrare dei progetti che diano lavoro anche ad altre persone. Questo per me resta il sogno. Poi vedremo, speriamo.
Dobbiamo trovare un distributore, perché per ora non ce l’abbiamo. Luca però ha anche altri piani. Vuole che continui a lavorare, sviluppare un lungometraggio insieme. Lui me l’ha detto: ‘Ti sei goduta i premi, ora lavora’. Sarebbe straordinario entrare in short-list, certo, ma intanto guardiamo avanti. Il problema è che, appunto, si tratta di animazione, quindi ci vorrà molto tempo.
C’è già una storia, non posso dire molto ma non sarà un altro documentario. Sicuramente sara in 2D, è la tecnica a cui sono legata e che non ho intenzione di abbandonare.
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