Marco Puccioni sta montando il suo primo film, dal titolo ormai definitivo di Quello che cerchi, conosciuto anche come Seduti sull’ombra o Corri sull’ombra, girato in digitale, anche se, tiene a dirci è “abbastanza vecchio da aver conosciuto la pellicola”. Nel 1989 girò infatti Concertino, un corto che fu trasmesso dalla Rai. Dopo aver frequentato la California Institute of the Art, una scuola di Cinema americana un po’ fuori degli schemi, ha coordinato il progetto “Intolerance”, 50 cortometraggi contro il razzismo e l’ingiustizia sociale, di cui 22 in pellicola e il resto in video. E infine Blue fiction e Sell your body now! che hanno girato numerosi festival internazionali.
Il direttore della fotografia del tuo film, Paolo Ferrari, è stato allievo di Storaro, direttore della fotografia del film in digitale “Ferdinando” di Giuseppe Bertolucci e insegnante di Tecniche dell’Immagine Digitale alla Scuola Nazionale di Cinema. Perché hai scelto il digitale?
Perché è un mezzo leggero, che ti permette di improvvisare con gli attori e fare un certo lavoro sul set, anche dal punto di vista della produzione, che la pellicola non permette. In realtà il film è realizzato con diversi standard di ripresa: Betacam Digitale, HD 24P, DVCAM, 35millimetri e Super8. Questo perché narrativamente è molto complesso e stratificato. C’è il piano della realtà, quello del sogno, della fantasia…
Ci sono anche stili diversi…
Sì, passa dal film noir, al melò, al road movie, al reportage. Ci sono molti riferimenti al cinema indipendente americano degli anni ’60, di ricerca dell’immagine: Stan Brakhage, Bill Viola. E’ la storia di un investigatore che spia un ragazzo. I suoi metodi si basano su delle telecamere di controllo, e quelle immagini per esempio, video di bassa qualità, si prestavano ad essere girate con la DVCAM. Solo in alcune scene che richiedevano la velocizzazione ho usato la pellicola. Il Digi Beta invece l’ho usato quando c’era bisogno di una messa in scena più tradizionale. Per le sequenze più ‘informali’, tipo Dogma, ho usato invece la DVCAM.
Dal punto di vista economico?
In realtà il film doveva essere fatto in pellicola, con un budget molto basso. Poi con la Intel Film, che è stata la prima in Italia a produrre un film in digitale, Due volte nella vita di Emanuela Giordano, abbiamo fatto dei test. E abbiamo capito che certi inconvenienti della pellicola si potevano risolvere con la leggerezza del digitale.
E’ vero che girare in digitale costa meno che girare in pellicola?
Quello che conta è la quantità del girato. Se giri con un rapporto di uno a sei, allora praticamente non c’è differenza. Ma se decidi che vuoi rigirare le scene decine di volte e portare a casa 80 ore di materiale, come Spielberg, allora il digitale ha un senso. Perché lì cominci veramente a risparmiare. Nel mio caso, in cui ho girato con attori non professionisti, diventava essenziale poter ri-girare quante volte volevo. E ancora: spesso il film ha un taglio documentario. Dovevo rubare frammenti di realtà. Se avessi avuto la pellicola, prima di esser pronto a girare passava mezz’ora ogni volta. Con la mia DVCAM invece apro lo sportellino, spingo REC e sto già girando…
La produzione è della Intel Film, ma il supporto tecnico è della TooMotion…
Sì, la TooMotion è la prima società che ha messo a disposizione qui in Italia l’HD 24P, la nuova telecamera digitale con prestazioni vicinissime a quelle del cinema. Loro faranno la finalizzazione digitale del film, che sarà tutto rimasterizzato in formato 1: 1,85. Oppure in 1:2, l’Univision, il formato che ha ideato Vittorio Storaro.
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